COMANACOSAELLALDE
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VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! Empty NETIQUETTE

Messaggio  Admin Ven Nov 28, 2008 4:53 pm

Da felicem.alloggio Oggi a 8:45

Cari amici,
dopo aver letto i contenuti di alcuni degli ultimi post, ritengo opportuno inviarvi, in calce al presente messaggio il parziale contenuto di quanto in oggetto indicato, il quale, credo, possa essere molto utile a tutti noi.
Io l'ho letto attentamente, e propongo a voi di fare altrettanto.
Ciao Felix

1. INTRODUZIONE AL GALATEO DI INTERNET (NETIQUETTE)
Fino a a metà degli anni novanta, l'accesso ad Internet era assai complicato richiedendo notevole perizia e delle competenze da iniziati.
I nuovi adepti, conosciuti in gergo col nome di newbies (traducibile in neofiti) per potersi muovere tra le risorse disponibili in Internet, dovevano chiedere aiuto ed informazioni ai verterani in un mondo che non presentava certamente strumenti user-friend quali si riscontrano usando MS Windows o Apple Macintosh.
La necessita' di richiedere aiuto ad altri per potersi districare in questo strano mondo, aveva un profondo significato educativo in quanto i nuovi utenti, per ottenere le informazioni di cui avevano bisogno, dovevano comportarsi in modo gentile e corretto.
Divenuti esperti, a loro volta pretendevano un eguale atteggiamento dai nuovi arrivati, pronti comunque a fornire gli aiuti necessari, memori dell'aiuto ricevuto in precedenza.
La facilita' con la quale oggi e' possibile collegarsi ad Internet ha comportato, accanto al dato positivo della accessibilita' ai piu' svariati tipi di informazioni da parte un sempre maggior numero di persone, un effetto negativo. I nuovi utenti infatti spesso non vengono addestrati opportunamente ad un uso corretto delle risorse di rete.
Questo documento vuole essere un modesto contributo all'addestramento e ad un corretto utilizzo delle risorse di rete per i neofiti di Internet.
Esiste un insieme di regole denominato Netiquette che si potrebbe tradurre in "Galateo (Etiquette) della Rete (Net)" che consiste nel rispettare e conservare le risorse di rete e nel rispettare e collaborare con gli altri utenti.
Entrando in Internet si accede ad una massa enorme di dati messi a disposizione il piu' spesso gratuitamente da altri utenti. Pertanto bisogna portare rispetto verso quanti, spesso in maniera volontaria, hanno prestato e prestano opera per consentire a tutti di accedere a dati ed informazioni che altrimenti sarebbero patrimonio di pochi o addirittura di singoli.
In Internet regna un'anarchia ordinata, intendendo con questo il fatto che non esiste una autorita' centrale che regolamenti cosa si puo' fare e cosa no, ne' esistono organi di vigilanza. E' infatti demandato alla responsabilita' individuale il buon funzionamento delle cose.
Si puo' pertanto decidere di entrare in Internet come persone civili, o al contrario, si puo' utilizzare la rete comportandosi da predatori o vandali saccheggiando le risorse presenti in essa. Sta a ciascuno decidere come comportarsi.
Risulta comunque chiaro che le cose potranno continuare a funzionare solo in presenza di una autodisciplina dei singoli e che incombe il rischio di una autodistruzione di tutta la struttura nel caso di comportamenti incivili di massa.
Di seguito vengono riportati alcune norme di utilizzo per l'uso delle mailing lists, newsgroups, forum, etc.
MAILING LISTS E NEWSGROUPS
Si tratta di gruppi di persone che hanno un interesse specifico per un certo argomento e che si scambiano messaggi su quel tema. Nel caso delle mailing lists si tratta di gruppi ristretti di persone. All'atto dell'iscrizione alla mailing list si ricevono le istruzioni sul come ci si deve comportare per l'invio di articoli, per la disdetta dell'iscrizione ecc... E' opportuno conservare il testo contenente tali istruzioni.
Spesso infatti capita che le persone, una volta iscritte, non siano in grado di saper disdire correttamente l'iscrizione perche' non si ricordano piu' come farlo.
Nel caso dei Newsgroups o Usenet i gruppi sono pubblicamente accessibili tramite i News Server.
Nell'uso delle Mailing Lists e dei Newsgroups esistono delle norme precise:
E' vietata ogni forma di pubblicita'.
Nel caso in cui il gruppo sia gestito da un moderatore, egli potra' intervenire par far rispettare le regole, altrimenti saranno gli stessi utenti ad intervenire per protestare nel caso di una violazione dell'etichetta.
Ogni gruppo (mailing list, newsgroup) ha il suo regolamento il cui contenuto viene riporato nelle Frequently Asked Questions o FAQ che vengono regolarmente messe a disposizione (posted) con frequenza settimanale. quindicinale o mensile nel gruppo.
Tutte le FAQ disponibil per i vari gruppi possono essere lette via WWW presso http://www.cis.ohio-state.edu/hypertext/faq/usenet/top.html
Prima di scrivere messaggi, fare richieste ecc.. e' opportuno leggere attentamente le FAQ e osservare per un certo tempo (lurking) quanto scrivono gli altri iscritti ad un certo gruppo in modo di compiere un certo apprendistato.
Quando si decide di inviare un messaggio (article) ad un gruppo e' opportuno chiarire bene il suo contenuto utilizzando al meglio il campo "Subject" dell'intestazione del messaggio. Cio' vale soprattutto per i gruppi piu' affollati in cui vengono scambiati centinaia o migliaia di messaggi al giorno.
In questi gruppi gli iscritti necessariamente si limitano ad una rapida scorsa dei titoli dei messaggi e solo se sono di loro specifico interesse vanno a leggere il contenuto dei messaggi.
Evitare di assumenre posizioni provocatorie: e' molto facile generare discussioni (flames) a volte anche spiacevoli.
Evitare di mandare messaggi di prova per verificare il funzionamento del software: a questo scopo esistono dei gruppi appositi.
Evitare di rendere pubblico un messaggio ricevuto personalmente senza l'autorizzazione dell'autore.
Quando si invia un messaggio a piu' newsgroups (cross-posting) evidenziare tale fatto in modo che i frequentatori di tali grupppi lo sappiano ed evitino di leggere piu' volte tale messaggio.
All'Amministratore (Admin) o al moderatore, il compito di 1) richiamare, 2) richiamare, 3) richiamare, e poi valutare l'opportunità - qualora, i richiami non dovessero bastare -, di non postare scritti che non si attengono al Netiquette.
Tanti affettuosi saluti
Felix
felicem.alloggio

Da Admin

1. INTRODUZIONE AL GALATEO DI INTERNET (NETIQUETTE)

Caro Felix, hai fatto bene ad inviare il testo sulle regole base di comportamento in InterNet. Nei prossimi giorni ho intenzione di raggruppare per argomento i vari topic presenti sul forum per snellire un pò l'indice, quindi trasferirò, con il tuo permesso, queste regole nelle REGOLE DEL FORUM dell'Admin.
Ottima giornata!
falàn
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VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! Empty IL BARIANO

Messaggio  Admin Ven Nov 28, 2008 5:16 pm

Una nuova lingua: il bariano? Da Nico Lomuto il Mar 3 Giu 2008 - 16:12

Una nuova lingua, il bariano?
Nessuna conoscenza del barese può dirsi completa senza quello strano miscuglio (da cui nessuno di noi è probabilmente esente) che si ha quando si parla quello che in pratica è barese con parole italiane (o, peggio ancora, italianizzate, come ha evidenziato il nostro Franz Falanga nel suo O dadò o dadà). Per esempio, “Rosa, meni lo spontapeto”, o, come disse una signora apostrofata inaspettatamente, “ce la tiene per me?” (molto interessante; quella confusione fra il "per" e il "con" ha un che di murgiatico, non è tipica di Bari), o come a me dà
propro in fronte (visto? Nessuno è esente) l’uso del doppio gerundio: I panzerotti si mangiano friggendo friggendo.
Nico Lomuto

apropositodelbariano Da Admin il Mar 3 Giu 2008 - 17:45

Molto interessante il sasso nello stagno che ha lanciato Nico Lomuto, molto molto interessante, si potrebbe aprire uno straordinario dibattito sull'argomento. Tra l'altro la nascita del bariano, che possiamo datare a partire da oggi 3 giugno 2008 e il cui padre spirituale è senza dubbio Nico Lomuto, apre una voragine senza fine nello studio, nella codifica e nella decodifica di universi parlati e scritti su cui non sarebbe assolutamente male soffermarsi con molta dolcezza, piacere, disciplina e disponibilità di mente e di cuore.
Alle prossime e si accettano commenti, come sò essò.
Oggi il sugo con i pomodori mi è venuto quasi ad alti livelli, solo che i pomodori erano olandesi e mi pareva che forse qualche cosa non andasse al posto giusto. Ma tant'è.
Falàn

A proposito del "bariano" di Nico Lomuto Da Admin il Lun 9 Giu 2008 - 15:24

Il mio amico Nico Lomuto mi scuserà se appaleso un suo messaggio rivolto a me, ma l'ho trovato grandemente intrigante per cui mi procuro il piacere di sottoporre agli amici del forum l'argomento "nuovo" per me, sul quale si potrebbero fare parecchie considerazioni. Ma bando alle chiacchiere ed eccovi qui su un bel piatto d'argento la proposta molto singolare e intrigante dell'amico Nico.
Meditate gente, meditate!
Falàn

"In via del tutto teorica (siamo ancora anni luce lontani da un modello funzionante), consideriamo il seguente esempio. Supponiamo che si stia insegnando il dialetto barese a qualcuno che sa già la lingua italiana; prendiamo in considerazione il termine “entrambi’; passando dall’ italiano “tutti due” al bariano “tutti e due” (con quella “e” che in italiano sarebbe orripilante) si arriva senza troppi ostacoli al barese tutt’e’ddo. Naturalmente, non tutto va così liscio, ed è per questo che le ipotesi restano ipotesi per anni, anche secoli a volte.
P.S. No signor vigile. Non ziamo stati noi; sono stati quell’e ddue"

Una piccola aggiunta
Da Nico Lomuto il Mer 11 Giu 2008 - 15:37

Caro Falàn, grazie della cortesia davvero inattesa. Ma nel citarmi tu hai omesso la frase introduttiva, che per me era la più importante: Veramente stavo scherzando, ma … dato che ci siamo …
Nico Lomuto

la frase omessa
Da Admin il Mer 11 Giu 2008 - 16:55

Eccola qui la frase di Nico da me omessa. Non l'avevo copiata perchè l'argomento mi pareva molto intrigante, e mi pare tuttora. Un abbrazzo Nico!

"Veramente stavo scherzando, ma … dato che ci siamo …"



Ciao ciao da falàn

Il Bariano Da felicem.alloggio il Ven 13 Giu 2008 - 9:18

Cari amici,
ieri 12 giugno ero nella libreria Feltrinelli qui a Bari e cosa vedo sul palchetto dei libri dedicati alla Puglia e a Bari? Un libro con la copertina rossa ed il disegno della topografia di Bari scritto dall'amico architetto Franz: "Il Commissario Navarrini".
L'ho preso immediatamente in mano e gli ho dato una scorsa e, mentre leggevo le pagine di quello che a me è sembrato subito un bellissimo libro da leggere tutto d'un fiato, tanto che sono andato a sedermi comodamente, mi sono segnato su un foglietto tre parole: pagina 28: "strafocarsi"; pag. 42: "culicieddi" e - a proposito di questa parte anatomica del corpo femminile, ho notato da parte di Franz non solo una competenza notevole in materia, ma una vera e propria adorazione (cule mì, direbbe il barese) -,, pag. 57: "sangiovannella", e mi fermo qui.
Bariano? Direi di si e, francamente, a me piace tanto!
Un ultima annotazione a proposito del libro: pagina 58: "...ammazzate il vitello grasso che è tornato il figliol prodigo".
Mi sono ritrovato in questa frase che Franz ha scritto allorquando uno dei protagonisti del suo libro ritorna dopo tanti anni a Bari, e ritorna con un sentimento nuovo, non più "l'odio" che da Bari lo aveva fatto allontanare, ma la "tenerezza" che la sua città al contrario gli suscitava. Dicevo che mi sono ritrovato allorquando, tornato dal servizio militare fatto interamente a Bolzano, fui accolto dai mei amici con la stessa enfasi e felicità con cui è stato accolto il protagonista nel ristorante la Bella Bari. E questo perchè anche io, durante tutto il periodo del servizio militare, 14 mesi, non tornai una sola volta a Bari in licenza, sia perchè questa città in quel periodo mi venne un pò ad odio, sia perchè volli approfittare dell'occasione del servizio militare, per dare un senso all'inutile servizio di leva, e cioè visitare molte città del nord che non conoscevo affatto.
Sono rimasto un'ora circa in Feltrinelli, leggendo le prime 58 pagine del libro. Poi sono andato alla cassa, l'ho acquistato e oggi finirò di leggerlo.
Grazie Franz.
Felice Alloggio, Felix per gli amici.
felicem.alloggio

PER L'AMICO FELIX Da Admin il Ven 13 Giu 2008 - 16:32

Che dirti caro Felix? Non ho parole per la tua squisitezza.
Dirti grazie mi pare troppa poca cosa.
Franz


Ultima modifica di Admin il Gio Dic 04, 2008 7:34 pm - modificato 2 volte.
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VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! Empty PICCOLA RICHIESTA

Messaggio  Admin Ven Nov 28, 2008 5:22 pm

piccola richiesta
Da santa vetturi il Ven 21 Nov 2008 - 20:38

Nel nostro dialetto, esiste un modo particolare per definire l'ultimo nato di una famiglia?

E' una curiosità che parte... dal Nord, e mi piacerebbe poterla soddisfare.Grazie a che saprà aiutarmi.


Santa
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Piccola richiesta
Da felicem.alloggio il Mar 25 Nov 2008 - 7:35

Cara Santa,
che io sappia l'ultimo nato ìè "u peccenunne" o "la pecenonne" .
Da notare che qui a Bari quando si parla di età a qualsiasi livello e in dialetto, si usa dire: "so chiù peccenunne de tè", oppure: "so chiù granne de tè", e non: "so chiù giovene o chiù vècchie de tè".
Ciao Felice
felicem.alloggio


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Grazie, Felix
Da santa vetturi il Mer 26 Nov 2008 - 7:56

In effetti, anch'io sapevo così.... u peccenunne e la peccenonne... ma si cercava una definizione più particolare che non "il piccolino e la piccolina".
Il tutto è partito da una mia "amicizia" letteraria, un siculo trapiantato al Nord.
Pare che in Sicilia si dica "cacanìde" (non c'è bisogno di traduzione, credo) e lui si chiedeva se ci fossero altre forme "sfiziose" negli altri dialetti.
Comunque, gli riferirò.
Ancora grazie e ciao,
Santa
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PENSO PROPRIO CHE FELIX ABBIA RAGIONE.
Da Admin il Mer 26 Nov 2008 - 10:34

Anch'io ricordo la stessa espressione Cude ci jè? Giuànne u fìgghjie peccenùnne de Martemè, m'arrecòrdeche ka sò quatte frate eddò pecciuèdde .
Stamattina fra un'oretta sarà al Bar Sport a ciucciarmi un'ombra e chiederò ai miei amici veneti se anche qui esiste questa abitudine di chiamare con un nome particolare l'ultimo nato.
Qui fa uno stracacchio di freddo. Sulle strade c'è il ghiaccio, la neve si è ghiacciata. Però la manutenzione delle strade è ottima, sale a gogò. Per cui no problem.
Vi conterò.
falàn
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ANCORA PER SANTA
Da Admin il Mer 26 Nov 2008 - 17:39

Allora mi sono informato. Qui, nella Marca Trevigiana, per indicare l'ultimo nato dei figli, se i figli sono ancora ragazzi dicono el pù ceo dei figli; se sono grandi allora dicono el pù zoven dei figli. Laddove ceo sta per piccolo e zoven per giovane.
Mi sono dimenticato di dire nel precedente messaggio che l'ombra in tutto il Veneto è un bicchiere di vino preferibilmente bianco. Ho due versioni sul perchè di questo nome, la prima, quella più plausibile, è quella che ci racconta che a Piazza San Marco anticamente c'era un venditore di vino ambulante che si sistemava sotto il campanile di San Marco che, nei mesi estivi, per stare al fresco, si spostava seguendo l'ombra del campanile. Per cui si iniziò a dire Ciò tosi, ndemo a torse un gotto de vin all'ombra, ehilà ragazzi andiamo a prenderci un bicchiere di vino all'ombra. Da qui a chiamare il gotto de vin ombra il passo è stato breve. La seconda versione dice che il vino bianco (i veneti bevono molto più bianco che rosso) è quel vino che essendo pressocchè trasparente NON fa ombra, come invece fa il vino rosso.
Ecco così spiegato il significato di ombra. Ne discende che se uno è in chiaro, ha la balla, è fatto a vino, si dice che è ombreggiato.
Già che sono qui a parlar dei veneti voglio qui parlare di una loro abitudine che trovo insopportabile. I veneti contemporanei sono gran bestemmiatori di Dio. In certe osterie il nome del Padreterno viene nominato circa ottocento (dico ottocento) volte l'ora. E pensare che fino a una trentina di anni fa al posto della parola Dio veniva usata la parola Zio. Per cui le due esclamazioni più gettonate fino a diversi decenni fa erano Zio can! e Zio Duce!
Un bel giorno è arrivata l'inciviltà e si è passati al nome diretto. Se un fatto del genere infastidisce me che sono laico fino alla cima dei capelli e che non ho alcuna dimestichezza con le cose di chiesa, la cosa che mi stupisce è che non ho mai sentito nessun prete di queste parti tuonare contro una maniera così incivile e rozza di intercalare. Meno male che c'è Don Luigi Ciotti che riscatta l'intera categoria.
Beh, come al solito ho filosofeggiato e me ne scuso.
falàn
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Ultimo nato
Da felicem.alloggio Ieri a 7:34

Cari amici del forum,
spero di aiutare Santa e informare gli altri.
Mi hanno riferito e, di conseguenza, riferisco, che a Bari l'ultimo nato è "u ciacìdde", oppure "u cenduzze", oppure ancora "u criature"
Ciao Felix
felicem.alloggio


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RE: ULTIMO NATO
Da Vittorio E. Polito Ieri a 20:33

Provo a dare un mio parere:

u peccenunne o u menunne (l'ultimo nato), u granne (il primo nato).

Ci sarò riuscito?
Ciao
Vittorio E. Polito


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per Vittorio e Felix
Da santa vetturi Ieri a 23:42

Intanto... grazie ad entrambi!

Vittorio, su "peccenunne" ci siamo già confrontati... mi sembra troppo poco "particolare".

Felix, i termini che tu suggerisci sono certamente più rispondenti. Io però mi sono ricordata di aver sentito dire "chiachidde", non "ciacidde" e "cedduzze", non "cenduzze".
Dei due, il primo,con significato di "piccolino", non ultimo nato, e comunque con una sfumatura non del tutto positiva: "Jè nu chiachidde", è inconcludente; il secondo, usato come vezzeggiativo: "u cedduzze de mamme", il tesorino di mamma.
Ma posso sbagliarmi, sia sulla forma, sia sulla sostanza.

Aspetto una replica, vostra o di altri.
Ciao ciao,
Santa
santa vetturi


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Piccola richiesta
Da felicem.alloggio Oggi a 7:23

Eccomi a voi,
"Ciacidde": "U ciacidde de mamme" (il piccolino di mamma), ma anche (il pisellino dei bambini). Ciacidde, ciaceduzze bbèlle, , etc.., tutti vezzeggiativi amorevoli che si usavano con l'ultimo nato, ovviamente fino a quando non ne nasceva un altro che diveniva, il nuovo "ciacidde o ciaceduzze de mamme".
"Chiachidde", ha in effetti il significato che tu hai indicato. Ma è altra cosa del tutto diversa dal primo.
Ciao Felix
felicem.alloggio


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RE: ULTIMO NATO 2
Da Vittorio E. Polito Oggi a 7:56

Io scrivo u menunne (oltre che peccenunne già detto) e u granne che distinguono, ripeto, il primo nato e l'ultimo nato. Ciacidde, cedduzze e chiachidde, come dice bene Felice, non c'entrano proprio nulla.
Vittorio
Vittorio E. Polito


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MINI CONTRIBUTO
Da Admin Oggi a 10:05

Sono leggermente fuori tema, ma il fantolino/a, l'appena nato/a è anche chiamato u peccenùnne de la menne. Al femminile la peccenònne de la menne, sarà una mia impressione, l'ho invece sentito molto raramente. Sono convinto che nel dialetto barese ci sia una componente maschilsta, ahimè dura a morire. Ma questo appartiene a un altro fumetto.
Chiachjìdde è in effetti dispregiativo, a Napoli dicono chiachiello. Se vogliamo trasferire questo termine nel positivo direi scacchiatjìdde. Va detto che chiachiello sia in napoletano che in barese è attribuibile anche a persone moltro grandi.
Così tanto per aggiungere qualche altra cosa.
Come dice un mio amico ammjìene jìndosùghe.
Male non fa.
falàn
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MENENNE
Da Admin Oggi a 10:15

L'influenza della lingua spagnola sul nostro dialetto.
Un celebre quadro di Velasquez ha come titolo "Las meninas" e rappresenta delle bambine figlie dei rali di Spagna.
Saltando di palo in frasca, con calvinianan leggerezza, cazarolas in spagnolo significa pentole.
Qui continua il freddo invernale, che noi (!) del profondo Veneto combattiamo con le "ombre".
falàn
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RE: MINI CONTRIBUTO
Da Vittorio E. Polito Oggi a 12:41

Caro Admin,

stai andando fuori tema. La domanda è "come si chiama l'ultimo nato di una serie" (nel senso su tanti figli come si definisce il più piccolo?), per cui tutto quello che state dicendo non serve proprio a nulla.
Meditate
Ciao
Vittorio E. Polito


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COME SEI FISCALE!
Da Admin Oggi a 13:11

Caro Vittorio lo so lo so, ma avevo precisato che stavo momentaneamente andando fuori tema. Sono a casa di un amico veneto che sto iniziando alla nostra baresità
ciao ciao
falàn
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VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! Empty La vèspe (chèdde ca ronze)

Messaggio  Admin Ven Nov 28, 2008 5:32 pm

La vèspe (chèdde ca ronze)
Da felicem.alloggio il Dom 24 Feb 2008 - 9:27

L'ape Russiàne Lapèrèstorika
L'ape dolge Lapèrugine
L'ape sexi Lapècorine
L'ape bbone Lapèrchiazze
L'ape scalatrisce Lapèrteche
L'ape rèliggiose Lapèndècoste
L'ape ggnore Lapèsce
L'ape sènza maghene Lapèdòne
l'ape ch le pile Lapelòse
L'ape cu mèse Lapèrdite
L'ape struìte Lapèrgamène
L'ape solitàrie Lapèra
L'ape nzediòse Lapèrètte
L'ape commerciande Lapèrmute
L'ape spaggnule Lapèsètas
E ce ne sape nqualche ialde la screvèsse.
Ciao a tutti.
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VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! Empty IL TURPILOQUIO

Messaggio  Admin Sab Nov 29, 2008 9:10 am

IL TURPILOQUIO
Da Nico Lomuto il Gio 28 Feb 2008 - 0:50

IL TURPILOQUIO
Se si tratta di imprecare, noi Baresi siamo campioni. Forse non campioni mondiali, perché i miei amici arabi mi hanno sempre detto che in confronto a
loro noi parliamo come delle educande, ma almeno in campo nazionale ... beh ... ci difendiamo.
Io qui non posso fare esempi, perché la censura potrebbe anche non essere d'accordo. Ma chi voglia farsi una cultura può provare il seguente
esperimento. In una serata estiva, col mare placido costellato da luci di pescatori, affacciatevi sul mare e gridate, così, al vento:"u mè ... c'vesce?",
ossia; "ehi, buon uomo ... abbocca?" Pare che la frase porti sfortuna, per cui verrete inondati da uno tsunami di improperi, con cui potrete arricchire a piacimento il repertorio. Repertorio che poi dev'essere vasto, perché avendo deciso di annientare una persona, il vero Barese non si contenta di lanciare un secco insulto ma si scatena in tutta una serie di illazioni sulla professione della madre, sull'hobby unisex della sorella, e chi più ne ha ... si stia zitto per favore.
E come si conclude la sfilza di aggressioni verbali? Per concludere il Barese dice: "e mò m'ha'da fà gastmà'" al che verrebbe fatto di dire: "perché finora che abbiamo sentito, un interludio romantico?"
Sconsigliabile invece la forma: " e mo ia gastmà" che preserva il vantaggio di riassumere nella minaccia un numero ignoto di turpiloqui, ma omette del tutto quel tentativo di scaricare sull'avversario la colpa della propria intemperanza
Nico Lomuto


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Re: IL TURPILOQUIO
Da armando santoro il Gio 28 Feb 2008 - 11:47

LE PAROLACCE
(poesia di Arturo Santoro)
Ji a'u cinematògrefe non vògghe chiù,/ percè la penziòne ca stòche a pegghià,
m'avàst'appène pe petè mangià! / Ma chìdd ca pòtene scì, viàte a lòre,
m'avònn dìtt ca le pellìghele ca se vèdene mò, / pàrlene sùle d'u pipì e d'u popò!
Ma chèss'jè nùdd, m'avònn dìtt angòre,/ ca chèdd ca fàsce arrezzà le capìdd,
so le maleparòle ca 'nzegnène chìdd!/ A cùss fàtt jì ngi'àgghie credùte,
percè a la televesiòne, ca tène la musaròle, / pùre dà se sèndene le maleparòle!
E mò àgghie capesciùte u percè,/ u nepòte mì, ca tène 6 ann,
te mànn a cùdd paÌse, ballànn, ballànn! / Ji me credève ca jère mangànz d'educazziòne, / e stève pe respònn che le rìme pùre jì,
ma pe non dà u mal'esèmbie, me sò stat'o pòst mì! / E m'avònn dìtt ca mò pùr'all'asìle,/ prìme de 'mbarà a dìsce papà e mammà, / le peccenìnn 'mbàren'a gastemà! / Ma càre amìsce, pariènd e chembàgne, / ce devèndene de mòde chìss maleparòle,/ jì non àgghie besègne de scì a la scòle! / Quànn scève a scequà, mmènz'a la stràte,/ a'u tièmb mì, quànn jère uagnòne, / scève a scequà 'nnànz'a la stanziòne, / addò na vòld stèvene checchièr'e carròzz, / e quànn chìdd s'arragàvene nfra de lòre, / me 'ngandàve a sendì gastemà, pe jòre e jòre!
Perciò sàcce a memòrie, tutt'u resàrie, / de le maleparòle e v'assecùre,
ca chìdd de mò sò frùnz'e fiùre! / E allòre, stàteve attiènd a parlà che mè,
ca ce jì acchemmènzeche a gastemà, / che la fàccia ròss e de còrs, ve fàzz scappà!
armando santoro


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apropositodelturpiloquio
Da Admin il Gio 28 Feb 2008 - 16:49

Ho letto con grande interesse quanto scritto sullo spazio destinato da Nico Lomuto al turpiloquio e la magnifica poesia di Arturo Santoro. Avendo io da una vita frequentato scapricciatelli di ogni genere, concedetemi di dire la mia sull’argomento che mi sta particolarmente a cuore. Innanzi tutto la volgarità paventata da Nico a parer mio nel dialetto barese non esiste. Sarò ottenebrato dall’amore per il mio dialetto, ma sono convinto che la volgarità nel dialetto barese è sostituita tranquillamente da una sana sanguignità e da un sano senso dell’umorismo, ancorchè criptato. Quando parlo di dialetti nei quali le invettive assumono connotazioni di infinita volgarità penso al dialetto napoletano e al dialetto veneziano, ma il dialetto barese è solo e solamente pesante, da caserma (con tutto il rispetto per i fanti) mentre invece, questo sì, è molto molto molto articolato. Innanzi tutto se parlate con un malavitoso barese, vi consiglio di non usare mai parolacce, sono considerate dal malavitoso in questione uno spiacevole incidente di percorso. Quindi, prima regola, parlar pulito con i malavitosi nostrani!

Seconda cosa, u cìve citato da Nico. U cìve (il cibo) non è altro che la pastura che si dà generalmente ai pesci. Per i non addetti alla pesca, la pastura è una specie di poltiglia fatta con mollica di pane appena bagnata, formaggio grattuggiato, cozze e pezzetti di sardine (ognuno ha una sua ricetta) che si lancia in una particolare zona di mare dove di lì a qualche minuto si ha intenzione di pescare con la canna . I pesci, attratti dal civo (cive), che, come dianzi detto, non significa altro che “cibo”, si addensano nella zona pasturata e così facendo vanno incontro all’amo che subdolamente di lì a poco cala, mischiandosi con la pastura che in tal modo sta ingannando i poveri pesci. Il termine cive ha ancora altri significati, quando bisogna corrompere qualche funzionario, qualche impiegato, per accelerare una pratica o qualcos’altro, lo si civesce, gli si dà da mangiare qualche buon bocconcino per poi sparargli nei denti la richiesta. U cive in questo senso non è altro che la famigerata bustarella.

Per quanto riguarda poi le parolacce, i baresi che non si sono mai fatto mancare niente, hanno coniato delle frasi musicali che se fischiettate hanno dei ben precisi significati. E qui il mio amico Nico ha antichi ricordi, di quando noi due, con l’Armando, prima di partire il Nico per Padova ed io e l’Armando per Venezia, dove studiavamo, andavamo sulla terrazza del Barion e quando passavano i pescatori che andavano a pesca o si ritiravano in barca dal lavoro, noi gli fischiettavamo una micromelodia che era così fatta: sol mibemolle mi naturale sol do do. Appena fischiavamo noi questa frasettina i pescatori come un sol uomo ci ricoprivano di vituperi. Noi gli avevamo dolcemente zufolato: uè c...e rutte!

C’era poi un'altra frasettina musicale, questa un filino più composita, sol sol fa sol (un’ottava sotto) si, re do do, che i musicisti fischiettavano o accennavano con il proprio strumento quando qualche sprovveduto spettatore andava loro a chiedere degli improbabili titoli. Chessò come chiedere a Enrico Rava di suonare “o campagnola bella”.

Dimenticavo di dire che la frase che ho scritto dianzi ha le sue parole che suonano pressappoco così “ tùtte nù l’acchiàme dananze “.

Ricordo poi che negli anni sessanta uscì un libro molto interessante di Nora Galli de' Paratesi dal titolo "La semantica dell'eufemismo". Le vendite si decuplicarono quando la casa editrice lo rimise in circolazione con l'attrente titolo "La parolaccia".

Franz
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VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! Empty U VERE BARESE

Messaggio  Admin Sab Nov 29, 2008 9:15 am

U vère barèse
Da verruzze il Mar 19 Feb 2008 - 9:06

U vère barèse

-U vère barèse iè cudde ca prime de tutte parle in dialètte senza vergheggnàrse.

- Tracànne sole birra Peròne

– Ovunque se iacque mange frutte de mare, ma soprattutte n-dèrre a la lanze.

- Iè spegialiste a mangià le rizze cu surchie,

- Fore da Bbare iìnde alle restorànde gride sèmbe. "uagliò, spedecchiìsce do còzze!"

- U barèse vère av'avute almène na volde tife o paratife,

- Scioche a zembariìdde ch la bìrre,

- Iìnde a la tomòble tène la fegùrìne de Padrepì, fore de la tomòble tène u stèmme du Bbare ch la sciarpa biangoròsse.

- Se iè fèmmene, chèssa barèse a sciute almène na volde iìnde alla vita sò alla Basileche de Sanda Necòle pe non remanì bèatèdde.

- Mange securamènde a Barevècchie scagliòzze e popizze, e l’estàte se succhie le grattàte ch l’assènze..

- Canosce a mèmorie tutte le spettacue de Tot'è Ttate.

- Le profète sù so Gianni Ciarde, Nicola Pignatàre e Niche Salatìne.

- Sa fatte u bbagne alla spiagge de pane e pemedòre e sa pegghiate colebattère e virùsse.

- Ogni ttande parle taggliàne pe disce "mocca a te” "vai a rubbare a Sanda Nicola" , "quella na fritti di polipi", e “quando andiedi non c’era”.

- Lèsce sènz'accattà mà la Gazzetta e pò la iuse pe fa parasòle, cappiìdde pe le muratùre e pe revestì le tratùre de la checcìne.

- Pizze e panzèrotte se mangene sop'o cofene de l'atomoble alla pizzerì Di Coseme, via Giovanni Modugne.

- Na volde alla semàne se mange strascenàte e cemederàpe.
- In case de mangàta precèdènze o d’incidènte stradale, u barèse arrive subbete a “ce ssò iì e ce ssì ttu”, gastème, gride e po se ne va facènne na sgommate!

- Ha penzate d'accattàsse n'appartàmènde a Pundaperòtte e meno male che nonn'ù a fatte.


- Pe le barìse la Prefèttùre iè u parchègge du Tiadre Piccinne.

- Pure ce u barèse nonn'è ma state a Parigge, comunque disce sèmbe "Ce Parigge tenèsse u mare sarèbbe na piccola Bbare"

- Parchègge sèmbe in doppia file, pure che la besceclètte e u tricicle.

- Alla tastiìre du telèfene pu barèse l'astèrische iè na stèdde!

- E pure ca u Bbare sta da tand'anne in zèrie Bbì, pure c'avonne abbressciàte u Petrezziìlle, pure ca le politici bariìse arrobbene de tutte le manère, tutte condinuene a candà:

Cusse a ddò stame iè u megghie paìse
non grèsce l'èrve ma stonne le barìse
sime le megghie du condinènde
e nge facime sta tarandèdde
tocche, ticche, tocche
na mangiate de vermecocche..........
Ciao da Verruzze.
L'ho ricevuta da un'amica e ve la invio. Buon divertimento. Statte bbune Falanghe, si avute adavère na bbèlle idè!!
E ce non lèsce ch mmè, nonn'è barèse!
verruzze


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da parte di franz
Da Admin il Mar 19 Feb 2008 - 17:52

Caro Verruzze, innanzi tutto grazie per esserti iscritto e per aver iniziato a partecipare. Le tue osservazioni sono assolutamente interessanti ed ora ti dico le mie. Innanzi tutto sto imparando ad usarlo questo forum, non è un blog, e ho moltissimo da imparare. Ma eccoti le mie considerazioni. Per scrivere sul forum ci sono due opzioni Newtopic (nuovo argomento) e Postereply (rispondi con un post, con un foglietto). Io sto pensando, ma non sono ancora molto sicuro, che ognuno potrebbe con Newtopic aprire un suo spazio, chiamandolo con il suo nome o con qualunque altro nome, anche se penso che il suo nome andrebbe meglio, e su questo suo spazio potrebbe inserire quello che vuole. Se poi ha voglia di confrontarsi con un altro nome (argomento) va sulla parte dell'altro e con Postreply inzia a confrontarsi. Questo è quello che inizialmente penso. Però le tue idee sono buone e quindi oltre agli spazi personali si potrebbero aprire altri spazi come dici tu. Resta da risolvere un problema: Qual'è la capacità dell'intero forum? E quanto materiale si potrebbe inserire nei vari argomenti? Bisognerà pensare ad un archivio per non appesantire il forum. Queste tre domande le porrò al mio amico informatico che mi ha dato una mano a mettere su questo forum. Se tu hai opinioni e info al riguardo, sarai comunque il benvenutissimo. Più noi partecipiamo più questo forum diventa nostro.
Questo è tutto per ora. Nelle prossime ore avviserò gli altri componentri del forum che potranno costruirsi il loro spazio, fermo restando che dovrò avere risposta agli interrogativi di cui sopra.
Per intanto ancora grazie e in bocca al lupo per questa inziativa, che spero proprio smentisca il carattere individualistico che noi baresi abbiamo. Questa volta DOBBIAMO riuscirci!
Un cordialissimo saluto!
Franz
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VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! Empty AUUE' DESCETADEVE

Messaggio  Admin Sab Nov 29, 2008 9:21 am

Auuè descetàdeve
Da felicem.alloggio il Ven 29 Feb 2008 - 12:13

Sono due giorni che sul forum non si scrive niente. Vogliamo darci una mossa?
Dunque ieri sera mi sono trovato ahimè a vedere una di quelle scene che non avrei mai voluto vedere.
In una via di Bari, piccolo incidente stradale per un danno alle due macchine si e no di 1000 Euro. Eppure i due conducenti hanno cominciato subito a dirsele di tuti i colori, ovviamente in dialetto. Prima a voce normale, poi a volce alta, poi grida e urli, poi imprecazioni e bestemmie, poi ancora ci sono andati di mezzo morti, mamme e sorelle, infine sono arrivati alle mani.
Conclusione: danno minimo alle auto, intervento della polizia e vigili urbani e autoambulanza per entrambi.
Ecco un esempio di quando io barese mi vergogno di esserlo.
Ciao e buona giornata.
felicem.alloggio


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Svegliamoci,ngiàma descetà.
Da Admin il Sab 1 Mar 2008 - 10:18

Caro Felice, se è per questo noi baresi siamo troppo svegli, ma non è questo il problema, Tu hai fatto centro. Proverò a risponderti. Che si sia sia ormai in una condizione di netta barbarie è sotto gli occhi di tutti. Cheffare? Come reagire? Pensa che io abito molto vicino a Treviso che fino a trenta quarant'anni fa era una delle città più civili d'Italia, se non la più straordinariamente civile. All'oggi è diventata un disastro, con personaggi fuori della storia che, con l'avallo della cittadinanza fatto questo inimmaginabile, fanno e dicono cose di pazzi. Ma torniamo a Bari. Tanti anni fa me ne andai (colsi l'occasione di una cattedra libera a Venezia) via da Bari sbattendo la porta, per duemilaseicentotrentaquattro ragioni. Più o meno l'anno scorso mi accorsi, durante un mio ritorno temporaneo nella nostra città, che l'incazzatura mi era passata e mi era rimasta la tenerezza. Non so perchè ciò sia accaduto, forse perchè sto invecchiando, forse perchè lo scriverne esorcizza lontani furori, fatto sta che mi è rimasta la tenerezza. Questo forum per esempio, fin'ora sta funzionando bene, e questo mi rincuora conoscendo il carattere assolutamente individualista di noialtri. Ma certamente non basta a far funzionare al meglio la nostra civile quotidianità. Cheffare allora? La mia speranza è nei giovani, ma siccome ci vivo in mezzo da quarant'anni per lavoro, e conosco sia i meridionali che quelli del ricco e crasso e grasso nordest, mi rendo conto che l'impresa è quasi disperata. Spiego il perchè di questo pessimismo. I cosiddetti grandi, le generazioni precedenti cioè, la scuola, la coscienza collettiva, le istituzioni, le famiglie (non salvo nessuno come vedi) sono riusciti negli ultimi cinquant'anni a cancellare nei nostri ragazzi (ad iniziare da quelli che ora hanno quarant'anni) il senso della Storia. No memory no history, pare uno slogan pubblicitario. Mancando la storia manca la memoria e una persona senza memoria ha dei grossi problemi, per esempio non è capace di commuoversi o di indignarsi. Che cosa propongo? Non lo so, forse, se un giorno salvezza verrà, sono convinto che verrà dalle donne e dal sud. Per risvegliare il senso e il piacere della storia dobbiamo tessere una rete come quella nella quale noi stiamo, evitando nella maniera più perentoria di incazzarci fra noi. Se qualcuno di noi dice che quella parola si scrive così e qualche altro dice il contrario, per carità di Dio, smettiamola di considerare il nostro interlocutore più ignorante di noi. Parliamone, poi qualche cosa accadrà fra un anno fra dieci, fra cento, qualcuno facendo tesoro delle nostre dispute un giorno riuscirà a trovare il bandolo della matassa. Peraltro non dimentichiamoci che questa nostra città ha un paio di storie dietro le spalle di tutto rispetto, e cioè il centro storico e Gioacchino Murat, che andrebbero appalesate a tutti. Se riusciremo a dare una bella immagine di noi alle nuove generazioni, vedrai che prima o poi qualche giovane amico si avvicinerà e così riprenderemo, come società, molto faticosamente a funzionare. Non come adesso dove i ventenni stanno con i ventenni, i venticinquenni stanno con i venticinquenni, i diciottenni stanno con i diciottenni, e quelli che hannop oltrepassato la trentina sono tutti dei vecchi rincoglioniti. Mi scuso per il termine, ma è proprio questo quello che quelli più giovani di noi pensano di noi. Se anzichè bacchettarli ed essere "paternalistici" con loro ci confrontassimo come esseri umani, senza distinzioni di sesso religione età, forse potremmo cominciare a fare una cosa buona e giusta. Sono contento di questa pietra che hai lanciata nello stagno Felice, sono molto contento. Per intanto, jòsce ddò fàsce frìdde, stà la nebbie, jì me sènteghe nu pìcche ammusciàte, percè tavjièssa crède ka ddò stàme mègghjie deddà! Ddò jè nàlde gebellère. Mèh! Stàteve bbuène ( me piàsce u fàtte de "bbuène" ka dìsce Giòvine). Ajière me fascjièbbe nu tianjièdde de maccarùnofùrne.
Falanghe.
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VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! Empty COME FACEVANO GLI ANTICHI?

Messaggio  Admin Sab Nov 29, 2008 9:25 am

Come Facevano gli Antichi?
Da Nico Lomuto il Lun 21 Lug 2008 - 20:14

Quando dramma non ce n’è ma qualcuno, scoraggiato, si lascia andare ad un pessimistico “e come faremo?” c’è sempre qualcuno che gli risponde

com’ Facev’n’ l’ Antich’: …

Aggiungendo poi una spiegazione che nulla ha a che fare con questi fantomatici “antichi” ma rima. Io ne ho sentite 3 versioni, ma spero ve ne siano altre. Allora “come faremo?” Via:

Com’ facev’n’ l’antich’: mangiáv’n’ la scorz’ e scettáv’n la m’ddich’ (mangiavano la crosta e buttavano via la mollica)

Com’ facev’n’ l’antich’: mangiáv’n’ l’ scorz’ e scettáv’n ‘ l’ fich’ (mangiavano le bucce e buttavano via i fichi)

Com’ facev’n’ l’antich’: s’alzáv’n’ la vest’ e s’grattáv’n u v’ddich’ (si alzavano la tunica e si grattavano l’ombelico)

Ultima modifica di Nico Lomuto il Mer 19 Nov 2008 - 20:35, modificato 2 volte (Ragione : Aumentata la grandezza delle frasi in dialetto)
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I FAMOSI ANTICHI
Da Admin il Mar 22 Lug 2008 - 15:50

Ehilà Nico, hai scritto le tre definizioni sull'argomento. Io potrei aggiungertene un'altra che però circola qui in cispadania. Alla domanda Come facevano gli antichi, qui rispondono: come fanno a Faenza, fanno senza.
E a proposito di città cispadane, qui per dire che mi chiamo fuori, che non mi interessa, dicono mi son come quei de Rovigo, non m'intrigo.
Beh! Buon pomeriggio. Oggi il sugo con i ciliegini era di rara finessa, ops, sto parlando come un cispadano.
Besos
Falàn
P.S. C'è una cosa che mi diverte moltissimo, ricordatevi che vivo nel cuore della cosiddetta Padania. La cosa che mi diverte, si fa per dire, è che si dice Padanìa e non Padània. E loro non lo sanno. Bah! Non conoscere la giusta posizione dell'accento, l'esatta pronunzia della terra della quale stiamo parlando, mi pare paradossale.
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VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! Empty AUGURI DI BUONA PASQUA

Messaggio  Admin Sab Nov 29, 2008 4:27 pm

Re: Auguri di Buona Pasqua
Da armando santoro il Sab 22 Mar 2008 - 13:38

PASQUA (Arturo Santoro)
Jòsce jè Pàsque. Fèst de precètt:
l'àri'jè chjène
de sùune de trembètt,

de trìcch'e tràcch e de cambàne.
Tùtt s'abbràzzene, se strèngene le màne!
Quànd'augùrie, sò avùte stamatìne,

da gènda lendàn'e da vecìne,
assènn da càse, pe le stràte,
quand'augùrie m'avònn dàte!

Tùtt'allègre, parèvne le crestiàne,
e me sò stangàt'a strènge màne,
pùr'a la gènd, ca jì non zàcce,
prìme non me uardàve màngh 'mbàcce!

Se sènd'attùrn'u'addòre de premavère,
e le crestiàne pàrene chiù sengère.
Ma non me sènd'allègre, ci sà percè,
cùss prièsce non ammèsckene pùr'a mè!

L'allegrì ca vèche 'mbàcce a tùtt,
jì non la sènd pròbbie 'ndùtt.
Me sènd, jòsce, tùtt fastediùse,
e vòche 'ngìre com'a nu verghegnùse!

Percè la gènd jè fàtt'a stà manere?
E no jè tutt'u'ànn acsì sengère?
Sùle jòsce sò vàs'e abbràzz,
e l'àld dì se tràttene...che la màzz?

La vìt'jè fàtt pròbbi'a piripàcchie,
e a stù mùnn, te giùre, jì non m'àcchie.
Càmbeche sèmb stralenàte, agetàte,
ca na pavùre nguèdd de jèss frecàte!

Da ci mène tu t'aspiètt
recìve dànn, mmìddi'e despiètt.
Ce pròbbie adavère non stà attiènd,
jà frecatùre pùre da le pariènd!

U siènd jòsce tùtt'u'bbène de la gènd,
ca de chèssa vìte pàrene chendènd,
ma da crà, puète stà secùre,
acchemmènzene da cape: oddi'e frecatùre!
----
AUGURI DI PASQUA (Arturo Santoro)

Quand'augurie me sè arrevàte a Pàsque,
manghe ci fòss nàte nu fìgghie màsque!
Ci tu vìte stù taulìne,
stà chjìne de lettere e cartollìne.

Cartollìne che l'òve e le cambàne,
angeuìcchie che le fiùre mmàne,
lettere che le scritte d'òre
e palòmme còr'a a còre.

Pe respònn a tùtt quànd,
jì nòn zàcce come fà'.
Jì fatìche e nòn càmbe d'arie
e dò nge vòle u segretàrie.

Velèsse respònn a jùne sùle,
ca jè na chegìna càre,
ma ci còse m'ave scrìtt,
nesciùne, angòre, m'u ave dìtt.

Oh, mamm! Sò assùte màtt,
pe capì ce còse dìsce.
Nòn è Frangese, non è Nglese,
non è Russ, nè Ciappònese,

Non zò cifre, non zò lettere,
non zò segne d'alfabbète,
non zò linee, non zò pùnt,
non zò nùmmere pe fà cùnt.

Mò nge scrìve: Chegine càre,
te rengràzzie d'u penzière,
ma ce tu sì scrìtt paròle amàre,
po’ mu dìsce aqquànn vìn’a Bbàre!
armando santoro


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Come sa va fà?
Da felicem.alloggio il Mar 25 Mar 2008 - 9:03

Caro Falànghe,
a proposete de le leghiste, iì le facèsse menì a Bbare-Portofine, le mettèsse in file iune drète o ualde, e nge facèsse fa un tuffe do muèle abbasce. Pò na volde salute sope nge ambaràsse a spedecchià do cozze e a mangiarle cu surchie, e pe fernèssce nge facèsse candà sta canzone:

Cusse addò stame iè u mègghie paìse
non crèsce l'èrve ma stonne le bariìse
sime le mègghie du condinènde
e nge facime sta tarandèlle.

Alla fine so secure ca non nze n'avonna velè sci cchiù da Bbare.
Bona vita a tutte.
Felice Alloggio
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VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! Empty MASCHERE BARESI. MARCOFFIE (o marcoffe): CHI ERA COSTUI?

Messaggio  Admin Sab Nov 29, 2008 4:32 pm

MASCHERE BARESI. MARCOFFIE (o Marcoffe): CHI ERA COSTUI?
Da Vittorio E. Polito il Gio 13 Mar 2008 - 20:11


Alfredo Giovine nel suo libro Bari dei fanali a gas (Edizioni Fratelli Laterza, Bari), nel capitolo “Maschere baresi” riferisce che «alcune notizie della prima nostra maschera si rilevano in un libretto di versi dialettali del canonico Saverio Abbrescia», a cura di Antonio Dentamaro, il quale definisce la maschera barese Marcoffie «leggendario abitatore della Luna, che ogni popolano barese crede effigiato nei chiaroscuri del luminoso disco della notte». Un’altra maschera barese, scrive sempre Giovine, era Colètte Scarpagrossa creata da Nicola Macina.

Giuseppe Romito nel Dizionario della lingua barese (Levante Editori, Bari) riporta alla voce Marcoffe «profeta barese. Vi è un detto che dice “acsì decì Marcoffe” (così disse Marcoffe, come profezia».

Gentile nel suo Nuovo Dizionario dei baresi (Levante Editori, Bari), riporta Marcòffe come maschera barese.

Michele Fanelli nei suoi volumi U settane e Suse Mmenze Abbasce (entrambi editi da Stilo Editrice, Bari), riferisce che la maschera Marcoffie viene menzionata per la prima volta da Francesco Saverio Abbrescia, intorno alla fine del ’700, paragonandolo alla maschera Pulcinella, Bergenedde che ascenne da la lune.

Fanelli scrive anche che Marcoffie «è raffigurato con un vestito bianco e rosso (i colori della città di Bari), con un bastone e tre palle che fanno riferimento al suo essere giocoliere, con nastri e nastrini che sono contro la scaramanzia». Lo stesso Fanelli sostiene che l’aspetto burlesco e giocoso di maschera carnevalesca, potrebbe essere un chiaro riferimento alla figura di San Nicola, in cui il bastone rappresenterebbe il pastorale e le palle le tre sfere, elementi iconografici del Santo di Myra.

La parola agli esperti con le opportune documentazioni. Il si dice qui non vale.


Vittorio E. Polito


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Maschera barese
Da felicem.alloggio il Ven 14 Mar 2008 - 9:01

La storia delle maschere (maschera deriva dall’arabo: mascharà, cioè scherno e satira), ha origini molto lontane. Infatti già in epoca preistorica l'uomo si mascherava durante i riti tribali, magici e religiosi, per permettere a stregoni e sciamani di contrastare gli spiriti maligni. Verso la fine del XVI secolo, con la diffusione della Commedia dell'arte", comparvero quei personaggi che oggi noi chiamiamo Arlecchino, Pantalone, Brighella, Colombina, Pulcinella, etc., che erano attori che interpretavano nelle piazze prime e nelle corti dopo, commedie di satira del costume dell’epoca. Con la riforma della Commedia dell’Arte questi personaggi sono scomparsi dalle commedie e sono sopravvissuti soltanto nelle feste e nelle mascherate di Carnevale. A Bari non abbiamo mai avuto nel periodo citato, nessuno di questi attori di strada poi divenuto maschera, pertanto qualsiasi attribuzione di presunte maschere baresi, sia che lo abbiano chiamato Marcoffie, sia che lo abbiano chiamato “Colètte Scarpagrosse” è arbitraria. E che sia arbitraria lo dimostrano due fatti: 1° che nessun barese durante le feste di carnevale usa riferirsi né a Marcoffie, né a Colètte Scarpagrosse; preferendo le tradizionali maschere di Pulcinella e Arlecchino; 2° che questi due pseudo maschere, nate dalla fantasia di due autori (Abbrescia e Macina), non hanno alcun riscontro né storico né artistico. Pertanto noi baresi dobbiamo rassegnarci al fatto che non abbiamo una nostra maschera. Mi permetto di suggerire a tutti quanti voi che questa lacuna potrebbe essere colmata oggi, cinque secoli dopo il 1500 (epoca in cui sono nati gli Arlecchino e le altre maschere), attribuendo a Bari una vera e propria maschera della baresità più pura, eleggendola, attraverso un referendum popolare dei baresi, fra uno o una dei tanti attori/attrici comici che da anni calcano le scene dei nostri teatri e farlo divenire la nostra maschera. Naturalmente se queste persone sono d’accordo. Il nome da attribuire poi, potrebbe essere oggetto di un secondo referendum. Ma facciano una cosa per volta e iniziamo con l’eleggere il comico che qui a Bari oggi rappresenta meglio, per l’appunto, la baresità. Del resto anche a Putignano in provincia di Bari, che ha un antico Carnevale risalente al 1400, solo negli anni nel 1950 fu disegnata la maschera di Farinella, che, come si sa, è anche un antico cibo della civiltà contadina pugliese. E allora, forza con il referendum, chissà che per il prossimo Carnevale potremmo avere il nostro Ciardino, o Pignatone e non quei personaggi/statuette che si vedono in giro, volutamente colorati di bianco e rosso e con tanto di pastorale fra le mani!

Ciao a voi tutti da Felice Alloggio
felicem.alloggio


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mascherabareseattuale
Da Admin il Ven 14 Mar 2008 - 10:11

Secondo me Gianni Ciardo è una maschera barese neomoderna (non postmoderna) sia dal punto di vista della sua gestualità, sia dal punto di vista della sua faccia stralunata. E' una maschera che mi ricorda la grande commedia dell'arte. Lo vedrei benissimo insieme a Balanzone, Pulcinella, Arlecchino. Una verifica? Qui nel Veneto dove ormai sono giunti a livelli di leghismo e di altri "ismi" insopportabili, sono in parecchi gli ammiratori di Gianni Ciardo. Qualcosa vorrà dire.
Franz
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VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! Empty LE DOPPIE BARESI

Messaggio  Admin Lun Dic 01, 2008 7:31 pm

Le doppie baresi
Da felicem.alloggio il Mar 26 Feb 2008 - 10:51

Alcune parole doppie del nostro amato dialetto:
abbuène abbuène
allègre allègre
citte citte
ciuffe ciuffe
iosa iose
mare mare
nazècche nazècche
ndèrre ndèrre
sope sope
sotte sotte
suche suche
sicuramèndte ve ne saranno almeno altre cento. E allore chi li conosce può continuare questo elenco in modo da farle conoscere anche a me, anche a noi?
Grazie
Felice

Ultima modifica di felicem.alloggio il Mar 4 Mar 2008 - 9:20, modificato 1 volta
felicem.alloggio


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Re: Le doppie baresi
Da armando santoro il Mar 26 Feb 2008 - 13:10

acciàff’acciàffe
allènd’allènde (immediatamente)
arràffa arràffe
arrùbb’arrùbbe (rubare a man bassa)
asàtt-asàtte (precisissimo)
auuandànne-auuandànne (tirare a campare)
bèlle-bèlle
biànghe-biànghe (molto pallido)
càlde-càlde (con premura)
pète-pète (a piedi)
cà-cà (balbuziente)
chjìne-chjìne (infame)
chiàne-chiàne (piano-lentamente
chjiète-chjiète (molto calmo)
a ccòcchie a ccòcchie (a due a due)
cor’a ccòre
cròsce e scròsce
cuètte-cuètte (molto stanco)
dì pe ddì
grèsse grèsse (molto grande)
dolge-dolge (con calma)
dritte-drìtte (sempre diritto)
fasùle-fasùle (nel gioco ognuno gioca per se)
fèsse-fèsse (facendo il furbo)
fina-fine
friscke-friscke (freschissimo)
granne-granne (enorme)
lècca-lècche (caramella)
lènghe-lènghe (molto lungo)
lìsce-lìsce (senza problemi; molto gradevole, quando si beve con gusto del vino)
matìne-matìne (molto presto)
mènze-mmènze (anche di individuo non affidabile)
mò-mò (subito)
mùsce-mùsce (molto lento)
nètte-nètte (molto pulito)
nève-nève (caricato di botte)
ni-nì na-nà (fregarsene)
nùdd-nùdde (non è che per caso)
pare-pare (uguale)
passe-passe (camminare lentamente)
pète-pète (a piedi)
pìcche-pìcche (non è che per caso)
pìcch’a ppìcche (un po’ per volta)
prèste-prèste (subito-subissimo)
pù-pù (cacca dei bambini)
ripa-rìpe = per la costa
scappa-scappe (fuggi fuggi)
scequànne-scequànne (scherzando-scherzando)
sckange e ccànge (cambiare i soldi)
sèzze-sèzze (giusto giusto)
sicche-sicche (magrissimo)
sjìnde-sjìnde (stai bene a sentire)
sule sule (tutto solo)
susa-sùse (sopra sopra)
tàgghia-tàgghie (malalingua)
tànne-tànne (in quello stesso momento)
tìse-tìse (molto teso)
tonna-tonne (rotondetta)
tosta-toste (donna robusta)
tràse-tràse (vino di buon gusto)
tùnne-tùnne (rotondo, bene in carne)
tuppe-tuppe (batticuore)
umma-umme (di nascosto)
armando santoro


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doppie
Da Admin il Mar 26 Feb 2008 - 16:21

Nàzzeca Nàzzeca che è l'andatura altalenante di quelli che portano in processione i santi.
Franz
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nàzzeca nàzzeca
Da Admin il Mar 26 Feb 2008 - 16:31

L'espressione nàzzeca nàzzeca è usata da quegli operai che fanno sgomberi di case e quant'altro. Se un mobile passa tranquillamente da una porta allora alla domanda "passe?" si risponde "volentieri". Se invece bisogna infilare il mobile lentamente spingendolo diritto davanti a sè allora si dice "a teratùre". Se invece l'oggetto è morbido, ad esempio un materasso arrotolato, allora per farlo passare dalla porta bisogna altalenarlo prima a destra e poi a sinistra, questo è il caso in cui bisogna fare la "nàzzeca nàzzeca".
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altri ricordi di doppie
Da Admin il Mar 26 Feb 2008 - 16:46

Càzze càzze
Tràppeta Tràppete
Ièrva ièrve, che sta per venirsene a piedi erba erba, lungo cioè un viottolo di campagna.

A proposito di càzze càzze, elegantissimo modo di dire, questa frase mi è stata detta personalmente il giorno in cui, fresco di laurea, più di quarant'anni fa durante una riunione di architetti e ingegneri a Bari riuniti per commentare e suggerire eventuali modifiche alle modifiche al piano regolatore generale che stava facendo il professor Quaroni, quando timidamente presi la parola e suggerii di invitare a Bari il professor Carlo Scarpa, il quale dopo essersi girato in lungo e in largo la città avrebbe certamente fatto a noi delle preziosissime annotazioni. Quando ebbi terminato di esporre la mia proposta, ricordo come fosse adesso che un collega si alzò, mi giuardò fisso e mi disse: "Falà, tu te ne viene cazze cazze da Venezie e nge viene addisce de nvetà stu Carle Scarpa. Percè nu non zime capasce de disce le stesse cose ka petesse addisce cusse Scarpe? Eppò, ce jè stu Scarpe?" In quel momento compresi quale sarebbe stato il mio futuro da architetto. Quella dolce persona non la dimenticherò mai, se non ci fosse stato il suo intervento forse sarei stato altra persona. Quindi lo devo pubblicamente ringraziare. Va da sè che neanche sotto tortura rivelerò mai il suo nome e cognome, che molti di noi consceranno benissimo.
Falà
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a cocchie a cocchie
Da Admin il Mar 26 Feb 2008 - 16:49

A proposito di coppie, mi sovviene un antico modo di dire:

U gràne a stame
u remmàte a stràme
le fùnge a ròcchie
le fìesse a còcchie
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nazz-nazz, giuste-giuste
Da Nico Lomuto il Mar 26 Feb 2008 - 20:55

farse nazz-nazz = abboffarsi, rimpinzarsi smodatamente
giuste-giuste = appena

Ultima modifica di Nico Lomuto il Mer 27 Feb 2008 - 21:32, modificato 1 volta (Ragione : aggiunto giuste-giuste)
Nico Lomuto


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Re: Le doppie baresi
Da armando santoro il Mer 27 Feb 2008 - 9:07

sempre a proposito di doppie mi piacerebbe conoscere un po' di parole con le DOPPIE CONSONANTI ALL'INIZIO DELLA PAROLA (che però in italiano ne hanno una sola) per capire quando va messa e quando no ad esempio
BBARE - DDI - BBUENE - DDO ecc.
armando santoro


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Altre doppie che mi vengono in mente
Da Nico Lomuto il Sab 1 Mar 2008 - 0:17

a bbuene a bbuene = improvvisamente
a june a june = uno alla volta o in fila indiana. Ma si dice anche "a ddu a ddu" (=in fila per due), "a tre a tre", ecc. ecc.
Nico Lomuto


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Sull'ambiguità di mò-mò
Da Nico Lomuto il Sab 1 Mar 2008 - 23:31

A seconda del contesto, mò-mò può significare "pochissiimo tempo fa" (es. «mò-mò se n'ha sciute Giuanne») o "fra pochissimo tempo" (es. «mò-mò te n'ha da sci, Giuanne») .
Nico Lomuto


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Le doppie baresi
Da Vittorio E. Polito il Dom 2 Mar 2008 - 8:45

Chiàtta chiàtta (bassa e grossa)
Chiàzza chiàzze (girovago)
Ciùcche ciùcche (ubriaco)
Citte citte (silenziosamente)
Ciùtte ciùtte (sazio)
Cuètte cuètte (ben cotto)
Curte curte (bassissimo)
Discia disce (chiacchierone)
Dòlge dòlge (garbatamente)
Drète drète (pedinare)
Fescènne fescènne (rapidamente, in poco tempo)
Ficche ficche (era l'offerta di sesso agli stranieri nel periodo bellico e postbellico);
Fuscia fusce (fuggi fuggi)
Giàggheme giàggheme (gambe tremanti dallo spavento)
Gròssa gròssa (obesa)
Jònza a Jònze (a poco a poco lentamente)
Jùne a jùne (uno per volta)
Locche locche (sornione, piano piano)
Mazze mazze (magrissimo)
Mbonde mbonde (alla punta estrema)
Mègghie a mègghie (la scelta migliore)
Muèrse a muèrse (poco a poco)
Papàle papàle (esplicitamente)
Settìle settìle (sottilissimo)
Tèste tèste (durissimo)
Uà uà (parolaio)
Vòcca vòcca (ciarliero)

Ultima modifica di Vittorio E. Polito il Mar 11 Mar 2008 - 18:26, modificato 2 volte
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Re: Le doppie baresi
Da Ospite il Dom 9 Mar 2008 - 19:04

replico a quanto scritto delle parole doppie, non entro nel merito e nel senso delle stesse, ma desidero solo evidenziare come graficamente vi sono delle imprecisioni, se diciamo quello cuoce e quello scotta, scriveremo "cùdde còsce"; se citiamo la coscia dovremo scrivere còssce, per distinguerla dal precedente; lo stesso dicasi per vàsce, vòsce, fàsce, ma per dire basso, dovremo scrivere vàssce, per fascia, scriveremo fàssce, per peggio o pece diremo pèsce, ma per pesce e piscia, pèssce e pìssce. o no!!!
Arco in dialetto si dice "àrche", alto, si dice "àlde"; Arco Alto si scrive Iàrche Iàlde, con I prostetica che scompare quando diremo
sòp'o u-àrche (e non iàrche); vattìnne te-iàlde, ma "venìte tu e ll'àlde"; nei ns. "dizionari" e "vocabolari", dove sono state inserite queste parole???? un abbraccio a tutti. felicegiovine
Ospite
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Ancora doppie
Da Vittorio E. Polito il Mar 11 Mar 2008 - 12:32

Adàsce adàsce (adagio adagio)
Affunne affunne (profondissimo)
Assùtte assùtte (bruscamente)
Fore fore (mantenersi lontano)
Forse forse (probabilmente)
Gnore gnore (nerissimo)
Jàlde jàlde (altissimo)
Lagna lagne (lamentoso)
Mangia mange (mangione o corrotto)
Mènda a mènde (ricordare)
Pelìte pelìte (molto pulito)
Polàcche polàcche (zitto zitto)
Ruscia ruscia (dicerie)
Salènne salènne (salendo)
Tome tome (calmo calmo, lemme lemme)
Tunne tunne (mangiare a sazietà)
Tosta toste (donna formosa)
Zèppa zèppa (piena piena)
Zùgghe zùgghe (suono del violino)

Ultima modifica di Vittorio E. Polito il Ven 18 Lug 2008 - 10:08, modificato 1 volta
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Ancora doppie 2
Da Vittorio E. Polito il Sab 29 Mar 2008 - 16:59

Jìdde e Jèdde (lui e lei. Nel gioco delle carte lui = asso di bastone, lei = sette di denari);
Mèna mèna (esortazione a sbrigarsi);
Sciouè sciouè (cosa di poco conto, ma se riferita a spaghetti conditi con un rapido sugo di pomodori, olio e aglio, allora si dice spaghetti fatti sciouè sciouè);
Tràppeta tràppeta (piano piano, modo di dire onomatopeico riferito ad un'andatura lenta e scalcinata;
Vittorio E. Polito


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VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! Empty FRASI CON "ALLA"

Messaggio  Admin Lun Dic 01, 2008 7:40 pm

Frasi con "alla"
Da Nico Lomuto il Mar 15 Lug 2008 - 20:43

Ci sono, in barese, molte espressioni che partono con "alla". Eccone alcune
alla 'mbame
alla sgroscia
all'abbonata
alla secherduna
alla cecata
alla scherdata
e così via. Chi ne vuol contribuire altre?
Nico Lomuto


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Alla
Da Admin il Mar 15 Lug 2008 - 21:08

Alla bellèzze
Alla chegghjiòne
Alla peverèdde
Alla sangiuannjìedde
Alla conìglio
Alla ndrasàtte

Falanga

Ultima modifica di Admin il Mer 16 Lug 2008 - 8:45, modificato 2 volte
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Continua ALLA
Da Admin il Mer 16 Lug 2008 - 8:43

Eccone qui un'altra, bellissima, che mi è venuta stamattina in mente:

Alla scuse de Christe.

Falanga
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Continua ALLA
Da Vittorio E. Polito il Mer 16 Lug 2008 - 10:46

Premesso che secherduna non pare essere proprio barese:
Colasuonno, infatti, riporta secherdune, secreddune, attribuendo a Grumo secherdèune, a Bitonto secreddiune, ad Altamura secherdunne,

Barracano e Gentile scrivono segherdùre;
Romito scrive segherdure o anche seggreddure.



alle carvune
alle cozze
alle pisce
all’andiche
all’arrabbiate

Ultima modifica di Vittorio E. Polito il Mer 16 Lug 2008 - 15:54, modificato 2 volte
Vittorio E. Polito


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Alla
Da felicem.alloggio il Mer 16 Lug 2008 - 12:13

....e ancora
Alla lune (de contrabbànne e/o arrebbate)
All'allà (a passeggio)
Ciao Felice
felicem.alloggio


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Segue Alla
Da felicem.alloggio il Mer 16 Lug 2008 - 12:16

All'andrète ..u mèste... (il funaio.)
Ancora ciao dal Vs. Felice
felicem.alloggio


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SEMPRE ALLA
Da Admin il Mer 16 Lug 2008 - 14:32

Penso che tu abbia ragione Vittorio per secherdune, come anche alla ndrasatte, che potrebbero essermi venuti in mente visto il mio meticciato, perchè sono stato certamente influenzato da come parlava papà che era napoletano e mammà che era tranese. Nu belle misckafrangiscke! Non ho detto mamma, ma mammà, alla napoletana.
Per l'ottimo Alloggio, non si dice andare a lallà? Ma non ne sono sicuro.
Saluti a tutti
falàn
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ANCORA ALLA
Da Vittorio E. Polito il Mer 16 Lug 2008 - 15:50

L'amico Felice Alloggio ha scritto all'allà e ritengo non sia corretto.
Si dice, come sostiene Franz, andare a lallà (cioè a passeggio). Almeno io ho sentito sempre così.
L'unico a riportarlo, tra i dizionari in mio possesso, è Colasuonno che riporta lallà, la-llà riferito a Grumo (voce per indicare o far capire ad un bambino la passeggiata, o il passeggiare).
Vittorio
Vittorio E. Polito


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Alla secherdun et al.
Da Nico Lomuto il Mer 16 Lug 2008 - 16:17

Fra I vari sinonimi, io personalmente preferisco alla secherdeun, ma è question e di gusti. Ecco invece qualche novità:

Alla tradetóre

Alla spàramambjìtte

Alla spass (disoccupato/a)



Se poi ci estendiamo a tutti gli usi della “a” abbiamo anche

A trademjinde

A ciucce

O la stupenda

Alle pjide de Criste (al top dell’indigenza)
Nico Lomuto


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VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! Empty non-parole e non-frasi

Messaggio  Admin Mer Dic 03, 2008 5:51 pm

non-parole e non-frasi
Da Nico Lomuto il Gio 31 Lug 2008 - 16:36

Sto cercando di capire fino a che punto in barese esistano quelle che io chiamo le non-parole, cioè parole che non vogliono dire niente (potremmo dire semanticamente vuote). Per esempio, supponiamo di vedere uno che abbia in mano un oggetto che non riusciamo ad identificare. In barese io direi:
ma ce jè stu fattappost?
Ecco: fattapposta è una non-parola. Ce ne sono altre?

PS: ci sono anche le non-frasi. Esempi che vengono in mente:
come na cosa e ll’alde (ahem)
ecco u fatte
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VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! Empty Espressioni con "a"

Messaggio  Admin Mer Dic 03, 2008 5:54 pm

Espressioni con "a"
Da Nico Lomuto il Ven 18 Lug 2008 - 15:50

Cercando espressioni con “alla” mi sono reso conto che anche il semplice “a” non scherza. Per esempio:

a ghiurme a secco

a strafotte in grande quantità

a sfotte sarcastico, o anche sarcasticamente

a ~~~ a casaccio

Chi aggiunge altre espressioni?

Ultima modifica di Nico Lomuto il Mer 19 Nov 2008 - 20:24, modificato 2 volte (Ragione : Ingrandite le frasi dialettali)
Nico Lomuto


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RE: ESPRESSIONI CON "A"
Da Vittorio E. Polito il Sab 19 Lug 2008 - 16:07

A buene a buene: improvvisamente, senza preavviso
A cule a cule: vicini vicini
A cunde neste: per nostro conto
A jonza a jonza: lentamente
A picche a picche: poco alla volta
A valanghe: in grande quantità
Vittorio E. Polito


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Altre espressioni con "a"
Da Nico Lomuto il Gio 24 Lug 2008 - 20:10

a mmuzz (a cottimo)
a spìzzicameddìca (a pochissimo per volta)
a risa (per scherzo)

Ultima modifica di Nico Lomuto il Mer 6 Ago 2008 - 19:26, modificato 1 volta (Ragione : Messe in corsivo-grassetto le frasi dialettali)
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A TARDA ORA
Da Admin il Mer 6 Ago 2008 - 14:56

In barese, per dire che qualcuno ha mangiato moltissimo si dice che si è fatto ad un'ora di notte
S'ha fatte annòredenòtte.

In barese per dire che qualcuno è stato mazziato a dovere si dice che lo hanno fatto a un'ora di notte.
Uavònne fatte oppure uònne fatte annòredenòtte.

C'è qualcuno di lorsignori e lorsignore che mi sa dire perchè due azioni così distanti fra loro hanno la stessa traduzione e, inoltre, da dove viene questo strano modo di dire?

Grazie a chi vorrà rispondermi. Qui in montagna è caldo come era a Bari dieci o quindici anni fa. I climi sono cambiati e dobbiamo ringraziare l'uomo per quello che sta combinando al clima stesso. Che cosa facciamo noi per contrastare un guaio del genere? Che cosa fa la scuola, ad iniziare dalle elementari? Basterebbe che ogni comune inviasse un suo esperto a vedere che cosa si sta facendo in Germania per il risparmio energetico e per l'utilizzo civile delle fonti rinnovabili.
Ma noi siamo dei supermen intelligentissimi e ci meritiamo Napoli, il policlinico a Bari, le nostre coste devastate e consumiamo tonnellate di energie psichiche, economiche ed organizzative per tagliare i soldi alle università e per prendere le impronte digitali ai bambini rom. Qui nel Venetoi poi c'è la caccia sfrenata alle lucciole per le strade, mai che avessi sentito che si stesse organizzando la caccia agli sfruttatori, ai papponi, agli schiavisti. quelli no, quelli no. Contrastiamo sempre gli effetti mai le cause.
Ma forse ho detto delle sciocchezze. Pardon.
Ciao a tutti da Franz
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RE: A TARDA ORA
Da Vittorio E. Polito il Mer 6 Ago 2008 - 17:03

La frase "te si ffatte a n'ore de notte" ha due significati:
non quello di mangiare che non c'entra proprio nulla, ma è riferito a chi si è conciato o è stato conciato in modo tale da sembrare nero pesto. L'altro invece è riferito ad un bambino che, giocando liberamente con la terra, si è sporcato mani, gambe e viso, al punto da sembrare un negretto.
Saluti
Vittorio Polito
Vittorio E. Polito


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VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! Empty SAN NICOLA e LA NAVE DEI MIRACOLI

Messaggio  Vittorio E. Polito Gio Dic 04, 2008 11:20 am

In considerazione del fatto che siamo vicinissimi alla festività di San Nicola, propongo alla lettura dei navigatori il volume di Nino Lavermicocca "La nave dei miracoli" (Le storie prodigiose di San Nicola di Bari), Edizioni di Pagina (appena pubblicato), pagg. 198, € 23,00.
Vittorio E. Polito
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VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! Empty COMANACOSAELLALDE

Messaggio  Admin Gio Dic 04, 2008 3:02 pm

COMANACOSAELLALDE
Da felicem.alloggio il Mar 2 Set 2008 - 6:50

Ciao amici, fatto buone vacanze? Spero di si.
Fra qualche mese festeggeremo il compleanno di COMANACOSAELLALDE. Questo termine qui a Bari lo usiamo molto spesso soprattutto, se non solo, come intercalare che, come si sa, rappresenta un termine o una frase che per vizio o per vezzo si ripete spesso.
Es: "Comanacosaellalde, don Gicce iave rascione!"
Es: "Mo iè, comanacosaellalde, iì avèsse fatte u stèsse"
Es: "Comanacosaellalde, u menistre Brunètte fasce bbune a condrollà le mbiegate statale"
Ma esiste il vero significato in lingua italiana di questo termine, che poi è il termine con il quale è stato chiamato questo Forum dal nostro bravo Falan, posto che io non direi mai in Lingua: "Come una cosa e/è l'altra, il ministro Brunetta fa bene a controllare gli impiegati statali".
Un caro saluto
Felice
felicem.alloggio


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BEllA DOMANDA FELIX!
Da Admin il Dom 14 Set 2008 - 9:27

Caro Felix, hai fatto una domanda da niente! Credo che, volendo, comanacosaellalde si potrebbe in ogni caso tradurre, utilizzando però molte parole, addirittura un concetto, e quindi secondo me non va bene. Perchè dico che non va bene. Perchè sono sempore più ammirato dalla stringatezza, dalla concisione, dalla capacità di zippare in un'unica parola un concetto, un'idea, un pensiero. Questa caratteristica positiva secondo me connota felicemente il nostro dialetto. Per esempio come tradurresti leggìtteme? Cùde u mèste quànne ha fernùte le terrìsi, nan'ava usàte cchù la pèta bbòne e se n'è sciùte legìtteme. L'imprenditore, durante la finitura della facciata del palazzo, quando ha terminato i soldi ha comunque continuato a costruire la facciata in questione utilizzando quello che aveva e quindi materiali meno aristocratici. Dove la trovi una potenza espressiva del genere? Mi ricordo un mio lontano parente molto sanguigno, ancorchè tenerissimo, che un giorno trovando per strada mia madre, le disse: zia Chiarina m'ada scusà ce non sò venùte ad acchiàrte chèssa semàne, ma signerì u sà, mò nu càzze mò l'àlde, non sò petùte venì. Mia madre si divertì moltissimo a fronte di una espressione diciamo pure pesantuccia ma molto colorita. Mi è venuta un ideuzza, perchè non facciamo un elenco di frasi e modi di dire quasi intraducibili in italiano? Inizio io con angòre. Si acchiàte la bbòrze? No! Allòre vìde angòre la sì lassàte sopa alla tàue!
Parecchi saluti da falàn
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VOCABOLI: maftaff(?)
Da Nico Lomuto il Mar 16 Set 2008 - 20:24

In un precedente messaggio, avevo individuato come a na cosa e l'alda come una non-frase, ossia una frase che non vuol dir niente (semanticamente vuota) che si dice tanto per non lasciare un vuoto. Ma va notato che la non-frase è in un certo senso un bluff: come a na cosa e l'alda sarebbe come dire “tralasciando dettagli”; se tali dettagli veramente esistono?

Certo che sarebbe un bellissimo esempio di “bariano” dire “come una cosa e l’atra”. Parlando d’altro, nel mio post precedente avevo indicato l’unica altra non-frase che mi venisse in mente: ecc u fatt. Adesso me ne vengono in mente altre due: “mo è” e ”pe ddice la ggiusta”

E veniamo all’intraducibile di Falanga. Ci sarebbe poi uno strano termine, sulla cui scrittura sono tutt’altro che sicuro, che io ho sentito da ragazzo. Suona qualcosa come “la maftaff” ed è una dote positiva, fra scaltrezza e magia. Il termine mi è stato dato per intraducibile.

Ultima modifica di Nico Lomuto il Mer 19 Nov 2008 - 20:15, modificato 1 volta
Nico Lomuto


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COMANACOSAELLALDE
Da felicem.alloggio il Mer 17 Set 2008 - 7:41

Mi viene in mente, nel gioco della passatella (u zembariìdde) l'affermazione iniziale: "come domànde sènz'invite" con la quale "u patrune" del bicchiere di birra o vino, chiedeva il permesso o "sotte", di poter fare bere uno dei giocatori. Dunque lui chiedeva il permesso prima ancora di poter offrire il bicchiere ad uno dei giocatori,e solo con il permesso du "sotte", l'altro poteva bere.
"Come domande sènz'invite": è bellissimo!!
Ciao Felice
felicem.alloggio


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maftaff
Da felicem.alloggio il Gio 18 Set 2008 - 15:33

Ciao Nico,
maftaff, che parola è mai questa, direbbe Don Abbondio.
Bene, io l'ho sentita diverse volte, parlo di qualche decennio fa, un pò da molte persone che parlavano ovviamente in dialetto. Ricordo che anche noi ragazzi la dicevamo ad un carissimo vecchietto il quale, per campare, vendeva sigarette di contrabbando in una sala da biliardo (famosi i biliardi della Premiata Ditta Barese Rutigliani), che allora era in Corso Vittorio Emanuele, di fronte al Palazzo Fizzarotti. Il bonario sfottò era ovviamente riferito alla capacità erettiva del suo pene, ed allora si chiedeva, appunto, bonariamente: "Allore nononne, la maftaff funzione angòre?" Puoi immaginare le risposte, colorite, molto colorite, ma sempre più originali. Ce ne sarebbero da scrivere a decine!
Bei tempi!
Ciao e a presto.
felicem.alloggio


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PAROLE STRANE
Da Admin il Gio 18 Set 2008 - 19:35

Ricordo un'altro modo di dire che ormai non si usa più. Per dire che si era in bolletta, che si era al verde, niente soldi, si diceva mafisc fluss (pronuziare sc dolce come sciare). Con il passare degli anni mi sono accorto che in arabo per dire che si è senza soldi si dice mafisc fluss. Mi spiace per certi leghisti nostrani ma credo che ci siano al mondo più cose che ci uniscono che cose che ci dividono.
Qui l'inverno è arrivato, mannagghiallaterraladre!
Cioao a tutti da Falàn
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Parole strane: maftaff
Da felicem.alloggio il Ven 10 Ott 2008 - 11:13

Così scrisse Nico Lomuto

"E veniamo all’intraducibile di Falanga. Ci sarebbe poi uno strano termine, sulla cui scrittura sono tutt’altro che sicuro, che io ho sentito da ragazzo. Suona qualcosa come “la maftaff” ed è una dote positiva, fra scaltrezza e magia. Il termine mi è stato dato per intraducibile."

"Maftaff"
mi è dato di sapere, attraverso fonte certa che con il termine dialettale "Maftaff" si indicava il carro funebre comunale, quello per intenderci che il Comune metteva a disposizione per i poveracci ahimè deceduti senza il becco di un quattrino. Tale mezzo era una sorta di gippone coperto, di quelli molto simili in dotazione alle truppe americane nell'immediato secondo dopoguerra che, per quanto esteticamente orrendo fosse, era altrettanto puntuale ed efficiente. Da qui i complimenti: "e bbrave, la maftaff funzione angore!" per indicare tutto ciò che era efficace ed efficiente.
Un caro saluto
Felice.
felicem.alloggio


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RE: PAROLE STRANE: MAFTAFF
Da Vittorio E. Polito il Ven 10 Ott 2008 - 18:15

MI SA PROPRIO CHE NON SI TRATTAVA DI MAFTAFF, MA DI MISTOF, UN'IMPRESA FUNEBRE. O NO?
SALUTI
VITTORIO
Vittorio E. Polito


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"maftaff" colpisce ancora
Da Nico Lomuto il Ven 10 Ott 2008 - 22:40

Felix: grazie. Non è mai trppo tardi per imparare (per me, ovviamente). Tutta la vita avevo creduto "maftaff" una parola vuota; invece, se hai ragione tu, indica un oggetto particolare.

Vittorio: giusto, anche a me era sorto lo stesso dubbio. (Mi pareva di ricordare che M.I.S.T.O.F. fosse un'abbreviazione ma evidentemente ricordavo male; ho cercato col Google e ho trovato Mistof ma non M.I.S.T.O.F.) Sarebbe interessante sapere se uno dei due termini predati l'altro.

Ultima modifica di Nico Lomuto il Dom 12 Ott 2008 - 18:07, modificato 2 volte (Ragione : corretto il riferimento a M.I.S.T.O.F.)
Nico Lomuto


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Maftaff - MISTOF
Da felicem.alloggio il Lun 13 Ott 2008 - 8:34

Cari amici,
MISTOF era una ditta privata di pompe funebri che negli anni '60 e fino agli anni '90 aveva la sua sede in Corso Vittorio Emanuele, proprio di fronte al Palazzo Fizzarotti, nulla a che vedere con la MAFTAFF
A risentirci.
Felice
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Messaggio  Admin Gio Dic 04, 2008 3:12 pm

Inserimento avatar
Da felicem.alloggio il Gio 16 Ott 2008 - 8:22

Desidero ringraziare Nico Lomuto perchè con le sue istruzioni sono stato in grado di inserire il mio avatar che, come potete vedere, iè na "varchecèdde" in miniatura per la pesca del polpo che mi è stata regalata tempo fa.
Ringrazio inoltre Vittorio Polito per averla fotografata.
Buona giornata
Felice
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Prego; come farsi l'avatar
Da Nico Lomuto il Dom 19 Ott 2008 - 15:56

Grazie del ringraziamento, cioè prego. In caso possa servire a qualcun altro, ecco più o meno quanto ti ho detto sul come farsi un avatar. (1) Su in alto, cliccare su ‘Profilo’; nella sfilza di schede che ci si presenta, cliccare ‘Avatar’ e verrà in vista il Pannello di Controllo Avatar. (2) Se si vuole scegliere un Avatar pre-definito (come feci io), cliccare ‘Mostrare la galleria’; se invece si vuole designare un altro file (p.es. la tua “varchecedde”), usare ‘Browse’ per navigare al file. (3) Sempre sul Pannello, cliccare ‘Registrare’.

Ultima modifica di Nico Lomuto il Mer 19 Nov 2008 - 20:04, modificato 1 volta
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RE: Come farsi l'avatar
Da Vittorio E. Polito il Dom 19 Ott 2008 - 18:44

E, finalmente, grazie a Nico Lomuto anch'io ho potuto inserire il mio avatar (che non so nemmeno cosa significa), però c'è.
Un caro saluto e ancora grazie a Nico.
Vittorio
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RINGRAZIAMENTI E QUESITO
Da Admin il Mar 21 Ott 2008 - 9:21

Innanzi tutto grazie a Nico Lomuto per le istruzioni. Il quesito è: che cosa sto facendo?
Ciao a tutti
Franz
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RE: RINGRAZIAMENTI E QUESITO
Da Vittorio E. Polito il Mar 21 Ott 2008 - 10:51

Tenestavvàosenne.
Vittorio
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Re: Inserimento avatar
Da Admin il Mar 21 Ott 2008 - 15:23

Vittorio E. Polito ha scritto:
Tenestavvàosenne.
Vittorio
La risposta è no. Comunque i miei complimenti perchè vedo con piacere che sei stato il primo in assoluto ad usare la mia regoletta consistente nel mettere insieme due o tre parole in dialetto.Acchessìsefàsce!
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Ringraziamenti e quesito
Da felicem.alloggio il Mar 21 Ott 2008 - 15:43

1) Stai ascoltando Miles Davis.
2) Stai sognando una ciccina.
4) Stai facendo un fioretto.
Stammibeneassai
Felice
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Re: Inserimento avatar
Da Admin il Mar 21 Ott 2008 - 17:27

felicem.alloggio ha scritto:
1) Stai ascoltando Miles Davis.
2) Stai sognando una ciccina.
4) Stai facendo un fioretto.
Stammibeneassai
Felice
L'affare si sta complicando, e contemporaneamente sta venendo fuori una trama per un racconto. Allora la terza opzione non è quella esatta, a parte il fatto che la laicità è la mia religione. Il punto due e il punto uno potrebbero essere fuocherello, ma non dico altro. Aggiungerei, come aiuto, che la foto è stata ritagliata da una foto più grande. Ho detto moltissimo e mi fermo definitivamente qui. Però siccome siamo in un forum sul dialetto barese, come si chiama secondo voi la forma della boccuccia dell'admin?
ciao ciao
falàn
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Troppi indizi
Da Nico Lomuto il Mar 21 Ott 2008 - 19:42

E mò vué assá! La "boccuccia" col "labbruzzo" farebbe pensare al trombone o al basso-tuba, ma tu sei piano man, e quindi quello non può essere, o almeno è poco probabile. Volendo azzardare un'ipotesi, oserei dire che quel che non si vede è un frutto di mare, e tu ti stai preparando al surchio.
Nico Lomuto


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Re: Inserimento avatar
Da Admin il Mer 22 Ott 2008 - 9:13

Nico Lomuto ha scritto:
E mò vué assá! La "boccuccia" col "labbruzzo" farebbe pensare al trombone o al basso-tuba, ma tu sei piano man, e quindi quello non può essere, o almeno è poco probabile. Volendo azzardare un'ipotesi, oserei dire che quel che non si vede è un frutto di mare, e tu ti stai preparando al surchio.
Qui l'affaire sta diventando molto coinvolgente, il racconto continua, ma non posso dire altro. L'ipotesi tua, caro Nico, è suggestiva e mi piace parecchio nel senso che potrebbe essere fondata in senso lato ma infondata in senso aderente, e viceversa.
Non so se mi sono spiegato. Mah!
Per quanto poi riguarda la definizione in barese della boccuccia con il labbruzzo così predisposto, posso aiutarti un cincinino u musse..... e qui il buon De Cillis avrebbe buon gioco.
Besos
falàn
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u musse
Da felicem.alloggio il Mer 22 Ott 2008 - 10:26

musse a mmusse
1) Litigata? o 2) Pronti al bacio?
Ciao dal vs. Felix
felicem.alloggio


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Re: Inserimento avatar
Da Admin il Mer 22 Ott 2008 - 16:08

felicem.alloggio ha scritto:
musse a mmusse
1) Litigata? o 2) Pronti al bacio?
Ciao dal vs. Felix
Niente ancora, oppure fuocherello, a seconda di come è intesa l'espressione musse a.... Musse a musse no, un piccolo aiutino: la frase idiomatica barese è alquanto (si può sostituire alquanto con molto) ruvida ma sanguigna.
cià cià cià
falàn
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Ruvida ma sanguigna
Da felicem.alloggio il Gio 23 Ott 2008 - 7:45

Niente niente ciò che s'intravede è un menù di un ristorante barese e
stai già pregustando "cu musse", "nu tronere (na brasciole) de cavadde!"
Ciao Falan,facci sapere perchè la curiosità è tanta.
Felix
felicem.alloggio


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Re: Inserimento avatar
Da Admin il Gio 23 Ott 2008 - 13:47

felicem.alloggio ha scritto:
Niente niente ciò che s'intravede è un menù di un ristorante barese e
stai già pregustando "cu musse", "nu tronere (na brasciole) de cavadde!"
Ciao Falan,facci sapere perchè la curiosità è tanta.
Felix

Ebbene no, nulla di tutto ciò, per aiutarti ulteriormente ti svelerò parte dell'arcano: ho di fronte a me una deliziosa giovane ciccina, la maglietta bianca che si intravede sullo sfondo non te lo dirò mai a chi appartiene, è di un maschietto, molto molto noto dalle nostre parti.
bye bye!
falàn
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Sibemolle
Da felicem.alloggio il Ven 24 Ott 2008 - 6:38

Riproviamoci.
La ciccina ha una tromba in sibemolle e tu stai insegnando il solfeggio a questa neofita musicista.
A proposito quel ragazzo noto dalle nostre parti, territorio barese o trevigiano?
Ciao
Tuo Felix
felicem.alloggio


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Messaggio  Admin Gio Dic 04, 2008 3:15 pm

Re: Inserimento avatar
Da Admin il Ven 24 Ott 2008 - 14:29

felicem.alloggio ha scritto:
Riproviamoci.
La ciccina ha una tromba in sibemolle e tu stai insegnando il solfeggio a questa neofita musicista.
A proposito quel ragazzo noto dalle nostre parti, territorio barese o trevigiano?
Ciao
Tuo Felix
Non è così, però la tua versione è verosimile quindi è teatralmente corretta.
Il ragazzo è barese ed è un personaggio pubblico alto, nel senso dell'altezza. Avrei preferito non si fosse trasferito armi e bagagli in un certo partito, ma non fa nulla, libertà di opinione innanzi tutto. Però mi dispiace un cincinino. Purtroppo i tempi cambiano.
falàn
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U.....de la reggine
Da felicem.alloggio il Mar 28 Ott 2008 - 9:43

Carao Falan,
a proposito del tuo quiz, sicuramente sei al corrente che fra i nostri pesci esiste il cosiddetto "Cazze de Rèe". Ma non so se sei al corrente che esiste anche "u peccione de la reggine" che altro non è che l'attinia di mare.
L'espressione del tuo avatar per caso rientra in questo secondo esemplare di "mollusco marino?"
Però fai attenzione perchè mentre il primo pesce è saporito e commestibile, il secondo noin solo è immangiabile, ma è anche, al contatto, molto urticante...Un pò come le meduse.
Ciao
Felice
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VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! Empty CHI L'HA DETTO CHE IL DIALETTO DERIVA DAL LATINO?

Messaggio  Admin Gio Dic 04, 2008 3:57 pm

Chi l'ha detto?
Da felicem.alloggio il Dom 8 Giu 2008 - 10:23

Carissimi amici del forum e dell'Associazione "Mondo antico e tempi moderni",
ho appena letto l'interessante ricerca effettuata da Vittorio Polito circa l'origine latina dei dialetti, dunque anche del dialetto barese. Credo che tutti noi dobbiamo ringraziare Vittorio che, da quel grande esperto di biblioteconomia e bibliografia che è, ci ha offerto l'occasione per cominciare il nostro lavoro su basi quanto più possibile certi.
La prima poposta che mi viene da fare, è chè nel futuro lavoro che ci accingiamo a svolgere in favore del nostro dialetto - cioè quello di perdisporre una grammatica ed un dizionario ragionato del dialetto barese-, è che non possiamo assolutamente prescindere dalla consulenza di esperti linguistici e delle tradizioni popolari, vale a dire da docenti universitari.
Questo concetto io l'ho già espresso in diversi interventi sul forum e anche nel seminario del 19 maggio u.s. Pertanto, qualsiasi tentativo che nei futuri gruppi di lavoro potrà essere intrapreso per escludere dalla elaborazione della grammatica e del dizionario il parere dei docenti suddetti - che potrebbere essere invitati come consulenti esterni-, sarà avversato dal sottoscritto ovviamente nelle forme e nel rispetto che ogni critica deve necessariamente avere.
L'accademia della crusca che Vittorio Polito ha citato sul forum può rappresentare un punto interessante di partenza per il nostro lavoro.
Ancora un grazie a Vittorio Polito che con la sua ricerca bibliografica ci ha ricordato, fra l'altro, che un altro interessante testo da predisporre è quello di pubblicare quanto prima anche una "Bibliografia ragionata" di tutti gli scritti editi e non editi in dialetto barese esistenti al momento negli scaffali di privati, nelle biblioteche nazionali e private, nelle Associazioni culturali, nelle biblioteche di facoltà, etc.
Desidero infine proporre che nei futuri gruppi di studio sia inserita anche la figura dell'esperto in biblioteconomia e bibliografia perchè ci sarà di grande aiuto. Rammento che la "Biblioteconimia e bibliografia" è disciplina presente in tutte le Facoltà di Lettere delle Università italiane.
Cordialmente
Felice Alloggio
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RE: ANCORA UNA PROVOCAZIONE A PROPOSITO DEL DIALETTO CALABRESE
Da Vittorio E. Polito il Dom 8 Giu 2008 - 11:11


]Ringrazio Felice Alloggio. Caffè pagato. In compenso invio un'altra provocazione a proposito del dialetto calabrese.

LE INFLUENZE LINGUISTICHE SUL DIALETTO CALABRESE IN GENERALE



Il greco è l'altro elemento fortemente caratterizzante del dialetto Calabrese, è straordinariamente rappresentato dalla lingua parlata nella parte meridionale, in particolar modo nella provincia di Reggio Calabria. Per lungo tempo in gran parte della zona il Grecanico era la lingua più parlata, oggi solo in alcuni centri quali Bova, Roghudi, pochi altri paesi della zona dell'Amendolea e alcuni quartieri di Reggio vi sono anziani che parlano questa lingua calabro-greca.
La persistenza del grecanico nella Calabria meridionale, ovvero la sua tarda latinizzazione, ha avuto in Gerhard Rohlfs il suo più convinto assertore. Lo studioso tedesco, ha percorso per quasi cinquant'anni la regione cercando sul posto il riscontro dei suoi studi: l'esistenza di due Calabrie, di etnia e lingua diverse. Che la lingua greca sia abbondantemente rappresentata nel dialetto della Calabria meridionale non vi sono dubbi. I riscontri sono infatti moltissimi: le opposizioni di voci per indicare uno stesso oggetto o animale o pianta sono evidenti nelle due Calabrie; la costruzione verbale ha un impronta greca precisa nel dialetto calabro-meridionale; in molti toponimi e cognomi tale impronta è agevolmente rintracciabile.
Ecco dunque, in una prima tabella di confronto, greco e latino in alcuni nomi di animali:
Calabrese meridionale Calabrese settentrionale Italiano
agrofàcu - ranùnchiulu - ranocchio
zinnapòtamu - lìtria / ìtria - lontra
'bampurìddha / lampurìdda - vampurìddha/ culilùcida - lucciola

Confrontando i termini, la loro diversità appare abbastanza evidente e certamente nasce dal differente substrato linguistico da cui essi si originano. Nella Calabria meridionale il ricordo del greco è così chiaro da non richiedere ulteriori approfondimenti. In effetti è facile riconoscere nell'identificativo alcuni animali, piante e oggetti la derivazione greca:
Calabrese meridionale - Greco - Italiano
'zinnapòtamu - kynopotamus - lontra
batràci / agrofàcu - botrakòs - ranocchio
'bampurìddha / lampurìdda - vampurìddha - lucciola
capìzza - capistru - cavezza
sìrtu / sìrti - sùrtes - tirabrace
'nnàca - nàke - culla
jilòna - chelòne - testuggine
'geramìda - keràmidion - tegola
timogna - themoonia - cumulo di grano
'zìmbaru / 'zìmmaru - xìmaros - caprone
purtuàllu - portokàlos - arancia
ciràsa / 'geràsa - keràsa - ciliegie
scìfa - skyphos - coppa
cantàru - kantharos - tazza
L'elemento greco nel lessico calabrese meridionale non si esaurisce semplicemente nell'uso di vocaboli così evidentemente derivati dalla lingua greca, poiché anche il modo di esprimersi tradisce questo substrato.
Ecco ad esempio dei modi di esprimersi nella Calabria meridionale:
Italiano Calabrese meridionale
voglio mangiare vogghju u (i) mangiu
voglio dormire vogghju u (i) dormu

Dopo i verbi che esprimono una volontà o una azione, nel dialetto della Calabria meridionale non si usa l'infinito che viene sostituito tramite una congiunzione. Tale modo di dire è presente, sic et simpliciter, nella popolazione grecanica di Bova (Thèlo na ciumithò). Quindi ecco ad esempio che l'infinito torna ad essere normalmente usato con il vero potere:
Italiano Calabrese meridionale
posso mangiare pòzzu mangiàri
posso dormire pòzzu dòrmiri

Nella Calabria settentrionale ci si esprime normalmente sempre con l'uso "italiano" dell'infinito, anche con i verbi che esprimono volontà. Anche in queste costruzioni verbali (es. nel periodo ipotetico) il modo di esprimersi è identico al greco.
Ecco alcuni esempi di cognomi calabresi d'origine greca:
Cognome italiano - Termine greco - Traduzione
Calogero - kalogheros monaco
Crea - kreas - carne
Crupi - kouroupes - tosato
Scordo - skordon - aglio
Delfino - delphys - delfino

Le incursioni saracene sulle coste calabresi verso la fine del primo millennio e gli scambi commerciali dell'epoca hanno lasciato traccia nel dialetto calabrese. I Saraceni non esercitarono mai un dominio nella attuale Calabria, limitandosi a delle frequenti incursioni sulle coste tra X secolo e XI secolo. Essendo padroni incontrastati della Sicilia, gli Arabi sfruttarono la loro posizione privilegiata per sottoporre le città costiere della Calabria a tributi e comunque intrattenendo rapporti commerciali e di scambio. Tutto questo comportò un mutamento, se pur minimo, della lingua calabra con diversi "arabismi" la cui presenza è ancora oggi dimostrabile. Ecco degli esempi:
Calabrese - Arabo - Italiano
tùminu / tuminàta - tumn - tomolo (misura terriera)
zìrra / zìrru zir - recipiente per l'olio
'guajera - adara - ernia
limbìccu - al-ambiq - moccio
carubba - harrub - carrubba (frutto del carrubbo)
sciàbaca / sciabachèju - sabaka - rete da pesca
zaccànu - sakan - recinto per le bestie

Ma l'eredità saracena non si ferma al solo lessico, la si può scoprire anche in alcuni cognomi di origine Araba:
Cognome calabrese - Termine arabo - Traduzione
Modafferi - muzzafar - vittorioso
Bosurgi - buzurg - grande
Naimo - na'im - delicato
Nesci - nasi (pronuncia nasci) - giovane
Tafuri / Tafuro - taifuri - fabbricante di stoviglie
Per completezza di informazione e di giudizio il latinista Giuseppe Pensabene nel suo Cognomi e toponimi in Calabria, non riporta le voci Naim e Tafuri esprimendo anche perplessità su Nesci, ma sugli altri non ha dubbi: i cognomi Modafferi e Bosurgi hanno derivazione latina e non araba:
Cognome calabrese - Costruzione latina - Traduzione - Significato
Modafferi - modus + fero - portatore di equilibrio, di misura - uomo equilibrato
Bosurgi - boves + urgeo - spingo i buoi - conduttore di grosso bestiame

Un'altra lingua rappresentata nel vernacolo calabrese, verosimilmente penetrata con i normanni e gli angioini, è il francese. Come già accennato, la Calabria fu sotto la dominazione normanna dal 1060 fino a quasi tutto il XII secolo ed è chiaro che le parole del lessico calabrese di derivazione francofona siano penetrate in tale periodo. Ecco alcuni francesismi nel dialetto di Calabria:
Calabrese - Francese - Italiano
accia - ache - sedano
arrocculàri - reculer - rotolare
perciàri - percer - bucare, perforare
buccirìa / vuccerìa - boucherie - macelleria
accattàri / 'cattàri - acheter - comprare
sciarabàllu - char à bancs - veicolo sbatacchiato
spilatràppu / spilandràppa - sparadrap - cerotto
'muccatùri - mouchoir - fazzoletto
sùrici - souris - topo
racìna - raisin -uva
buàtta - boîte - lattina
mustàzzi - moustache - baffi
'ndùja - andouille - salame
Il francese comunque è una lingua neolatina e tra il 1266 e il 1442 la casa d'Angiò teneva sotto la sua corona il Regno di Napoli. I cognomi con desinenza finale in -eri e -ieri sono di origine Normanna.
Altre lingue, come lo Spagnolo o il Tedesco, hanno lasciato tracce trascurabili e tutt'oggi di difficile interpretazione.

Pubblicato da Francesco Trunfio a 4/14/2007 su http://cardeto.blogspot.com/2007/04/le-influenze-linguistiche-sul-nostro.html
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VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! Empty RE: ORIGINI DEL DIALETTO MENEGHINO

Messaggio  Admin Gio Dic 04, 2008 4:08 pm

RE: ORIGINI DEL DIALETTO MENEGHINO
Da Vittorio E. Polito il Dom 8 Giu 2008 - 15:16

ORIGINI DEL DIALETTO MENEGHINO


La pianura padana era abitata, prima della venuta dei Latini, da tribù mediterranee, liguri, retiche, iberiche (originarie della penisola occupata oggi da Spagna e Portogallo). Non è rimasta nessuna traccia scritta del loro linguaggio. Però alcune parole o "radici", a quanto affermano gli studiosi, indicaano senz'ombra di dubbio ancor oggi la loro appartenenza a queste antiche parlate pre-latine. Alla lingua Mediterranea si possono far risalire il termine gava (torrente) e quello di insubrium (nome di Milano prima della venuta dei Celti). Alla lingua "ligure", invece, appartengono le radici clav (rupe sporgente) e pala (roccia). Alla lingua "retica" - secondo alcuni studiosi i Retici erano popolazioni montane originate da quelle liguri - si devono molte parole che in seguito entrano a far parte dei dialetti lombardi e di quelli della Svizzera italiana o che, al contrario, danno origine a "nomi" di località. Eccone alcune: barga (capanna), cous (grotta), nava (conca), crenna (fessura, screpolatura stretta e lunga nelle pareti rocciose), ganda (pietrame) ecc.. Un altro linguaggio scomparso "ufficialmente" dai documenti della storia è il giurassico, contemporaneo del ligure (quindi come questo pre-latino) la sua origine è nelle montagne dell'attuale Giura franco-svizzero. Confrontando alcuni vocaboli di questa lingua con il dialetto milanese - il principale del ceppo lombardo occidentale, dal quale sono poi derivati gli altri dialetti di parte della regione - troviamo sorprendenti affinità.
L'articolo el (il) è rimasto in dialetto tale e quale; la parola magnin (calderaio ambulante), ha dato origine alla milanese magnan. Analogamente d'origine giurassica sono la guja (ghiaa in milanese), il pungolo col quale si aizzavano i buoi, il tavan (tafano), ed il verbo rougnasser (rognà in milanese, cioè "brontolare").
Poco dopo l'anno 600 a. C. l'equilibrio etnico esistente nella zona subisce un primo, robusto scossone. Alle popolazioni dominanti del nord, quelle liguri cioè, si mescolano i Celti, che i Romani più tardi chiameranno Galli. Di origine asiatica, i Celti arrivano in Italia dai paesi nordici, specie dalle terre dell'odierna Germania e della Francia del nord. Il loro arrivo provoca notevoli effetti, sulle popolazioni e sul loro modo di vivere. I Celti finiscono così per condizionare in maniera determinante la vita, i costumi, la lingua delle etnie preesistenti. L'influenza celtica è lunga e duratura. I vocaboli che portano sono soprattutto relativi alla guerra,alle armi, alle fortificazioni. Oggi si riescono ad individuare nei dialetti settentrionali molte parole di origine celtica, pur se modificate o alterate dal latino dei Romani conquistatori. Anzitutto i nomi di località: Mediolanum (Milano) deve la sua origine alla parola medio e lan(n)o. Quest'ultima in celtico significava "spazio recinto e piano", forse un luogo consacrato, quindi Mediolanum voleva dire "luogo di mezzo, paese in mezzo a una pianura". Brianza deriva da brig (luogo elevato); Lecco, deriva il proprio nome alla radice celtica leukos (bosco). Altre parole celtiche sono: barros (cespuglieto), mosa (acquitrino) dunum (collina), paraveredus (stallaggio), brennos (capo), dervo (quercia), briva (ponte) e così di seguito. I Romani dapprima si attestano in "colonie" e accampamenti militari (Cremona, prima colonia di diritto latino, nell'anno 218 a. C., seguita nel 214 a. C. da Mantova) e, poco alla volta, sottomettono tutte le popolazioni dell'alta Italia. Le principali città appartengono a tribù celtiche: Mediolanum (Milano) è legata agli Insubri; Laus Pompeia (Lodi) ai Boi, Bergamo agli Orumbovii, Brescia ai Cenomani, Ticinum (Pavia) ai liguri Laevi preesistenti e così via. Roma non impone con la forza la nuova cultura, ma fa in modo che questa si propaghi attraverso l'istruzione, i pubblici uffici, i documenti del vivere quotidiano, gli spettacoli, i giochi. Il latino classico di Roma - quello di Marco Tullio Cicerone e di Publio Virgilio Marone, autore dell'Eneide - quello cioè che la classe dirigente e il mondo della cultura usano, rimane per lunghi periodi la "lingua" per eccellenza di coloro che redigono documenti, contratti, scrivono opere destinate ai posteri. Il latino usato dal volgo, dalla gente umile, perde anno dopo anno la sua purezza iniziale - anche nei cittadini di Roma che vanno ad abitare nelle nuove città - e si trasforma, a seconda delle zone geografiche nelle quali viene parlato, in un linguaggio del tutto diverso. Questo fenomeno si verifica ovunque nei territori sottomessi ai Romani. A contatto con la lingua e coi dialetti dei Celti, per esempio, il latino si imbastardisce in misura ancora maggiore. Mentre la lingua scritta "tiene duro", quella affidata alla gente che la usa a proprio piacimento e in funzione delle proprie necessità, perde le caratteristiche originarie mano a mano che acquisisce i caratteri celtici, trasformandosi in un "latino volgare" che, col tempo, diverrà dialetto prima e italiano poi, pur conservando una tipicatraccia della sua origine. Un'ulteriore differenza delle varie parlate è data da una vera e propria polverizzazione di suoni, cadenze, vocaboli ed etimi, nell'ambito di ogni singola zona che, come risultato, dà origine a dialetti diversi tra loro. Quelli dell'area lombarda rimangono così per sempre legati in gran parte al latino (per un settanta per cento circa), e alle parlate gallo-italiche che lo precedevano. Che il latino sia presente in moltissime parole lombarde non è un mistero. Si può ricordare, tra le molte, amita (zia), che in milanese è divenuta medinna, oggi non più usata. Ancora: pistrinum (forno), che in dialetto ambrosiano è prestìn; situla (secchio), che in milanese è sidella; pascua (spiazzo erboso), che in dialetto diventa pasquée. Dal greco il nostro dialetto acquista le milanesissime parole: basèll (gradino); usmà (odorare); erbión (pisello); pestón (fiasco), quest'ultima non più usata. Col trascorrere degli anni, altre genti scendono nella pianura del Po, talvolta da dominatori, tal'altra in seguito a semplici trasmigrazioni, alla ricerca di terre fertili e luoghi sicuri.



Le radici linguistiche del milanese


Dalle più antiche radici celtiche derivano:cavagna = cesta, gerla dal celtico kavagna
ciapà = prendere dal celtico hapà = prendere
rusca = buccia dal celtico rusc = buccia
forest = uno di fuori dal celtico fforest = selvatico.

Espressioni che evidenziano le radici latine sono ad esempio:

te du nagott = non ti do nulla
se tornassimo indietro nel tempo, in pieno periodo aureo, il Cicerone di turno al popolano che gli avesse chiesto qualche cosa avrebbe risposto: "tibi do nec guttam" = non ti do neppure una goccia (per dire: non ti do nulla); da "tibi do nec guttam" al milanese te du nagott il passaggio è breve.
Un altro modo di dire rimasto nel gioco dei bambini:
arimortis = per indicare una richiesta di interruzione di un gioco.
Il modo di dire ricorda l'uso latino delle arae mortis = gli altari della morte, elevati al termine della battaglia per onorare i caduti. Una indicazione sacra di tregua rimasta ormai solo nel linguaggio dei bambini.
incö = proprio oggi dal latino hinc hodie.
persigh = pesca dal latino (malum) persicum.
pirla = membro maschile dal latino pilus (pestello)
slepa = sberla dal latino alapa. Un antico latino che avesse voluto rifilare uno schiaffone a qualcuno gli avrebbe rifilato un'alapam (sberla)

Esistono anche vocaboli di origine greca come

usmà = odorare, annusare dal greco osmè (annusare)
rüff= pattume, spazzatura, dal greco rupos (spazzatura)
Dal provenzale si può far derivare:
dumà = solamente, solo, dal provenzale Mà (solo)
quatà = coprire, dal provenzale Descatar (coprire)
setass = sedere, dal provenzale Sassetar (sedere)
bufà = soffiare, dal provenzale Bufar (soffiare)

Dal Longobardo derivano:

grinta = grinta da ghign
topich = inciampo, ostacolo
sgurà = lavare con energia
müchela = smettila, proveniente dall'originario mozzare
magon = afflizione
bicocca = tugurio, casa precaria

Dallo spagnolo potrebbe derivare il termine

panposs = pane raffermo
pita = chioccia
tumatis = pomodori, dallo spagnolo tomatos
luc = stupido, dallo spagnolo loco ( il termine italiano allocco ha più un significato di imbambolato che di scemo, come il termine spagnolo intende.
smursàa = spegnere, voce di origine basca (smorzar = spegnere)
stremissi = spavento, dallo spagnolo Estremezo (spavento)

Dal francese derivano:
articiock = carciofo, dal francese Artichaut (carciofo)
assè = abbastanza, es. veghen assè = averne a sufficienza, dal francese Assez (abbastanza)
giambun = prosciutto, dal francese jambon (prosciutto)

Dall'austriaco può derivare il termine
baüscia = sbruffone, dal tedesco bauschen (pronuncia bauscien) = gonfiarsi
ghell = soldo, dal tedesco geld, (pronuncia dura gheld ) = soldi, quattrini, moneta.
scoss = grembo dal tedesco schoss = grembo Es. tirass el fiö in scoss prendere il figlio in grembo.

Ultima modifica di Vittorio E. Polito il Mer 11 Giu 2008 - 14:24, modificato 1 volta
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VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! Empty RE: ANDIAMO A SCUOLA DI DIALETTO (CURIOSITA')1

Messaggio  Admin Gio Dic 04, 2008 4:12 pm

RE: ANDIAMO A SCUOLA DI DIALETTO (CURIOSITA') 1
Da Vittorio E. Polito il Dom 8 Giu 2008 - 15:27

Per non dimenticare le altre nostre Lingue
Non parliamo soltanto italiano...

ESCLUSIVA

Una "storica" intervista-lezione con il professor Tristano Bolelli, celebre glottologo e linguista, per anni docente all'Università di Pisa e autore di numerose pubblicazioni oltre che curatore (insieme con la moglie Adriana Zeppini) del popolare «Dizionario dei dialetti d'Italia», in quattro volumetti, creato nel 1983 appositamente per la Domenica del Corriere.
ANDIAMO A SCUOLA DI DIALETTO
Questa conversazione fra Luciano Simonelli e Tristano Bolelli si è svolta a Pisa nell'ottobre del 1983
Negli altri dialetti, oltre al sardo, è ancora possibile trovare tracce della loro madre comune: della lingua latina?
«Ci sono molti elementi comuni. Di vocabolario, innanzitutto. Prendiamo, per esempio, come si dice "vedova" e "vedovo" in certe zone dell'Italia meridionale. Li chiamano "cattiva" e "cattivo". Ma questo non perché siano cattivi. No. Si tratta di una derivazione dal latino "captivus" che vuol dire "prigioniero". E proprio in questo senso la parola latina è stata usata per indicare la vedova e il vedovo. Pensando al fatto che, le donne in particolare, per il lutto restavano a lungo segregate in casa, come prigioniere appunto. Poi, altri segni della parentela dei dialetti con il latino li si trovano nella morfologia e nella sintassi.»
Dall'esempio appena fatto emerge un altro elemento importante: analizzando l'origine delle varie parole si può ripercorrere anche la storia di una certa popolazione...
«Certamente... Ma per fare un discorso più generale, prendiamo per esempio i nomi dei giorni della settimana che, per la maggior parte, sono giunti fino alla lingua italiana conservando intatto il significato che avevano presso i romani. Allora, si scopre che Lunedì è Lunae dies , il giorno della luna; Martedì, quello di Marte; Mercoledì, di Mercurio; Giovedì, di Giove; Venerdì, di Venere. Come si vede, in questo caso, la civiltà cristiana non ha modificato nulla, abbandonando questi nomi del paganesimo. Sabato e Domenica costituiscono invece due casi a parte. Il primo deriva da una parola ebraica mentre il secondo significa: il giorno di Dio. Ma da dove viene? E' una lunga staria. Dapprima c'è in greco Kyriaké heméra che vuol dire giorno del Signore da Kyrios, dio. Poi, tradotto in latino, diventa Dominica dies e quindi finisce per arrivare in italiano come Domenica. Una storia, come si vede, che comincia in Grecia, passa per Roma e arriva fino a noi.»
Ai dialetti contribuiscano alla "crescita" della lingua italiana?
«Molto spesso.»
E quale modo?
«Un esempio abbastanza recente è che i giovani per dire che una ragazza è piuttosto bruttina la chiamano "squinzia". E questa non è altro che una parola dialettale. La si trova sia nel milanese che nel bolognese. Ma se poi pensiamo che ci sono delle parole ormai accettate da quello che chiamiamo l'italiano e che non vengono dal toscano ma da dialetti del nord e del sud ecco la prova di questa "collaborazione". Le faccio alcuni esempi. Prendiamo tutta una serie di parole toscane come "lucignolo, concio, guide, rena, guazza", ecco nessuna di queste la si trova in italiano comune. A loro si sono preferite espressioni che appartengono ad altri dialetti come, rispettivamente, "stoppino, letame, redini, sabbia, rugiada". Si può dire che anche la Toscana ha i suoi dialetti e ormai non si identifica totalmente con la lingua italiana.»
Ma il latino è il marchio di origine proprio di tutti i dialetti italiani?
«No. Restano fuori della matrice latina comune i dialetti tedeschi dell'Alto Adige, della Valle d'Aosta orientale, intorno al Monte Rosa, di tredici comuni veronesi e di sette vicentini, i dialetti albanesi che si trovano nel Molise, nelle province di Foggia, Taranto, Potenza, Cosenza, Catanzaro e in Sicilia: a Piana dei Greci (questa località si chiama così perché la popolazione, pur avendo il dialetto albanese, è prevalentemente cattolica di rito greco) e a San Michele di Ganzaria. Ci sono poi i dialetti greci diffusi nella Terra d'Otranto, in Puglia e nella Calabria meridionale... Ma per completare il discorso sui dialetti non di origine latina bisogna parlare anche di quelli di tipo sloveno e serbo-croato...»
Questi ultimi in quali località sono o erano in uso?
«I dialetti di tipo sloveno si potevano trovare nelle province di Udine, Venezia, Trieste. Gli altri, quelli serbo-croati, sono tipici delle zone di Pola e di Fiume che però dall'ultima guerra non fanno più parte del nostro Paese. Ma si ritrovano anche nell'Italia centro-meridionale, in località come Acquaviva, Collecroce e Monte Nitro, in provincia di Campobasso. E addirittura c'è un paese, sempre nell'Italia centro-meridionale, che rivela la presenza di un tale dialetto fin dal suo nome. Si chiama infatti San Felice Slavo. Poi restano un caso a sé i dialetti ladini e le parlate sarde. Fra queste ultime, particolarmente importanti sono il gruppo logudorese, che conserva il sardo più arcaico, i dialetti campidanesi e i dialetti galluresi che si avvicinano di più al toscano rispetto agli altri dialetti della Sardegna. Ma fra le isole linguistiche che, pur essendo di matrice neolatina, non appartengono al gruppo dei dialetti italiani, c'è il catalano di Alghero.»
Quali sono i grandi gruppi in cui si suddividono i dialetti italiani?
«Se prendiamo una carta geografica della nostra penisola si può tracciare una linea ideale che va da La Spezia a Rimini. Ecco, questo è il confine che divide i due grandi gruppi dei dialetti italiani: quelli settentrionali da quelli centro-meridionali e toscani. E questi ultimi vanno poi considerati a parte e vedremo in seguito perché. Intanto, per procedere con ordine, cominciamo con l'esaminare i dialetti settentrionali che hanno caratteristiche per cui, di solito, vengono chiamati anche gallo-italici perché le zone in cui si sono diffusi erano abitate dai Galli prima della conquista romana.»
E questa radice di partenza come emerge?
«Per esempio, dal fatto che di solito le parole finiscono in consonante. Quindi a Bologna si dirà "bon" per dire "buono" ma si dirà "bona" per "buona". Cioè la "a" è la vocale che rimane mentre le altre, come la "o", cadono se sono in posizione finale. Questa è una costante di tutti i dialetti dell'Italia settentrionale tranne in uno, nel Veneto.»
Come mai?
«Perché il veneto è, per così dire, un dialetto gallo-italico che se ne sta per conto suo. Ha, diciamo, un'impostazione diversa che deriva dal fatto che in quella regione la popolazione non era gallica in origine ma semmai "venetica" cioè composta dai cosiddetti antichi Veneti. E allora, come si è appena visto, nei dialetti dell'Italia settentrionale le vocali finali delle parole cadono tranne quando c'è la "a", nel veneto invece possono rimanere anche altre vocali. Facciamo degli esempi. "Avaro" in veneto si dice "crudo, peloso, strento, stitico", invece negli altri dialetti settentrionali è difficile trovare una vocale finale a meno che non si tratti, come in Emilia-Romagna, del caso di "tiré" che però è il participio passato di un verbo, di "tirare". Insomma, "avaro" in veneto resterà "avaro" mentre a Bologna sarà "aver" o "avar"?»
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VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! Empty RE: ANDIAMO A SCUOLA DI DIALETTO (CURIOSITA') 2

Messaggio  Admin Gio Dic 04, 2008 4:16 pm

RE: ANDIAMO A SCUOLA DI DIALETTO (CURIOSITA') 2
Da Vittorio E. Polito il Dom 8 Giu 2008 - 15:29

Per non dimenticare le altre nostre Lingue
Non parliamo soltanto italiano...
© L'Istrice/Simonelli Editore srl[/size]


ESCLUSIVA Una "storica" intervista-lezione con il professor Tristano Bolelli, celebre glottologo e linguista, per anni docente all'Università di Pisa e autore di numerose pubblicazioni oltre che curatore (insieme con la moglie Adriana Zeppini) del popolare «Dizionario dei dialetti d'Italia», in quattro volumetti, creato nel 1983 appositamente per la Domenica del Corriere.

ANDIAMO A SCUOLA DI DIALETTO
Questa conversazione fra Luciano Simonelli e Tristano Bolelli si è svolta a Pisa nell'ottobre del 1983
Proseguendo a parlare dei dialetti dell'Italia settentrionale, le loro caratteristiche si fermano a quello che ha finora detto?

«No. Un altro elemento tipico è che le consonanti doppie diventano semplici. E questo accade proprio per tutti questi dialetti. Nel veneto, è noto, invece di "matto" si dice "mato". Ma la realtà non muta neppure nei dialetti in cui come si è detto non c'è la vocale finale. In quelli si dirý "mat". Inoltre, per tornare ai "segni" dell'origine gallica dei dialetti settentrionali c'è qualcuno che sostiene che la "u" lombarda sarebbe appunto una "u" gallica. Ma su questo punto non tutti gli studiosi sono d'accordo. E un discorso controverso come quello che viene fatto a proposito dell'origine della "c" intervocalica aspirata nel toscano che, come ho detto, costituisce un caso a parte nei dialetti dell'ltalia centro-meridionale...». [/size]

E qual è la teoria sulla "c" aspirata dei toscani?

«Un grande studioso come Merlo sosteneva che questo era un segno di lingua etrusca. Secondo il famoso dialettologo (ma un altro importante specialista, il Rohlfs, non è d'accordo con lui) se i toscani dicono "la 'asa" invece di "la casa", "ami'o" invece di "amico" la ragione va ricercata negli Etruschi che con le conquiste romane avrebbero imparato il latino mantenendo però le loro aspirate nel "c", nel "ch" intervocalico e anche nella "t" che in una parte della Toscana viene pronunciata come fosse un "th"... Ma, riprendendo il discorso sui dialetti dell'Italia settentrionale, va aggiunto, prima di concluderlo, che essi sono molto più vari di quelli centro-meridionali,nonostante che l'area di diffusione dei primi sia più ristretta di quella dei secondi...»
Le ragioni di questa particolarità quali sono?
«Dipende tutto dalla maggiore varietà della storia dell'ltalia settentrionale. Pensi un po' che cosa può aver voluto dire il fatto che cittý come Torino, Milano, Bergamo, Venezia, Padova e tante altre abbiano avuto vicende politiche e sociali completamente autonome. E queste autonomie, i territori che passavano dagli uni agli altri con le molte guerre che ci sono state, hanno prodotto un'evoluzione diversa di quei dialetti. Ma al di là di tali osservazioni di carattere generale, è impossibile scendere a spiegazioni più particolareggiate. Infatti non sempre possiamo intravedere le ragioni precise di un'evoluzione linguistica. Per esempio, è certo che il francese sia linguisticamente più evoluto dell'italiano. Perché? La risposta sono soltanto alcune supposizioni. Come il fatto che la Francia ha certamente avuto un'evoluzione più rapida dell'ltalia sul piano civile o che quando una lingua diventa più generale è soggetta a maggiori cambiamenti. Insomma, le cosiddette "lingue imperiali" sono quelle che hanno registrato una maggiore evoluzione».

Oggi quale chiamerebbe "lingua imperiale" per eccellenza?
«L'inglese, naturalmente. E ormai non si riconosce più rispetto alla lingua usata da Shakespeare... Vede, l'italiano è rimasto invece una lingua letteraria perché veniva imparato sui libri. Non era adoperato da tutta la popolazione. Non bisogna dimenticare che nel 1860/1870 gli italiani erano per l'ottanta per cento analfabeti. Quindi, quel venti per cento che sapeva leggere e scrivere produceva, sì, cose interessanti ma non c'era diffusione della cultura. Ecco perché da noi si Ë verificata una persistenza dei dialetti».

Ma torniamo a parlare del toscano a cui accennava prima per la "c" aspirata. Qual è la sua caratteristica generale?

«Si può dire che mantiene molti legami con il latino. Se, per esempio, prendiamo la parola "sanctus " questa in toscano di venta "santo", c'è praticamente una conservazione. L'"nct" latino è "nt" e non diventa "nd", "sando", come invece accade in certi dialetti meridionali. Sì, il toscano è linguisticamente molto conservatore, per lo meno quanto il sardo. E la ragione di questo sta sempre nel fatto che anche una buona parte della Toscana è rimasta, per un certo periodo, abbastanza isolata dal resto del mondo. Infatti, a causa degli Appennini, era fuori dalle vie di comunicazione dal nord verso il sud e viceversa. Basti pensare all'itinerario che seguivano coloro i quali tornavano dai pellegrinaggi al santuario di Santiago di Compostela, nell'odierna Spagna. Per andare verso sud giungevano nella Lucchesia, andavano dove ora si trova Altopascio ed evitavano la zona costiera dirigendosi probabilmente verso Siena. Insomma, seguivano una linea che lasciava da parte Firenze. Quindi sia questa cittý sia parte della Toscana sono rimaste per parecchio tempo isolate. Almeno fino al Duecento-Trecento quando i mercanti hanno aperto nuove vie di comunicazione. E' stata appunto la lunga mancanza di contatti con l'esterno che ha reso più determinante l'influenza del latino sulla sua lingua».

Lei, professore, ha già avuto occasione di dire che anche la Toscana, pur essendo la regione in cui è nata la lingua italiana, ha i suoi dlaletti. Mi puÚ fare degli esempi?

«Il caso di Pisa è tipico. Prima che Firenze la conquistasse, qui si parlava un dialetto che era simile a quello di Lucca che ancora oggi è diverso dal fiorentino. Il lucchese, vede, aveva dei tratti più settentrionali, conseguenza del fatto a cui ho appena accennato, che da là passava la via che dal nord portava verso Roma. Ed è tipico sentire ancora oggi dire nel contado lucchese "bellessa" invece di "bellezza", "piassa " invece di "piazza"... Qui a Pisa abbiamo un'iscrizione del Quattrocento in cui si legge: "In questa piassa..". E quando Dante scrive "sola gran fersa"" per "sferza " adopera un elemento pisano-lucchese e non fiorentino. Quest'ultimo non avrebbe mai adoperato una esse per una zeta. Però nel nostro "Dizionario " quando troviamo delle parole toscane dialettali sono di solito della periferia. Provengono dalla Lucchesia, dalla Garfagnana, dalla zona che va verso Massa e Carrara, quella dell'lsola d'Elba, del Grossetano, la larga periferia senese ma non sono mai parole del centro della Toscana. Quella parte è rimasta linguisticamente compatta. Infine, va detto che esistono differenze anche fra Firenze e Siena come conseguenza di una storia abbastanza autono ma dell'una rispetto all'altra. Un esempio. A Siena si adopera spesso la forma "ar" invece di "er". Infatti il Museo dell'Opera del Duomo dove nella città del Palio è conservata la famosa Maestà di Duccio di Buoninsegna, viene indicato nelle iscrizioni come "Museo dell'Opara del Duomo". E così nei testi senesi si legge ren darò invece che renderrò».
Dopo il toscano ci sono i dialetti centro-meridionali. Ebbene, questi ultimi come si distinguono dagli altri, da quelli settentrionali?

«Sono molto più facili da individuare. Una loro caratteristica fondamentale è che il gruppo "nd " diventa "nn", cioè "quando " si tra sforma in "quanno". E questo esiste in tutti i dialetti centro-meridionali all'infuori di qualche piccola "isola" in cui si parlava greco. Allora, che cosa è successo? Laddove c'è una "nt" quella si tra sforma in "nd" mentre quando c'è "nd "si ha "nn". È un fatto interessantissimo perché "nd" che diventa "nn "lo si trova anche nelle iscrizioni osco-umbre preromane. E quindi la prova di una continuità storica dall'osco-umbro ai dialetti attuali. Cioè quelle popolazioni hanno imparato il latino ma vi hanno introdotto quell' "nn" della loro radice linguistica precedente... Bisogna poi ricordare che vi sono delle zone in cui esistono le consonanti invertite».

Di che cosa si tratta?

«Sono quelle che, per esempio, si trovano nel siciliano "beddu" e "bedda " al posto di "bello " e "bella". E la cosa curiosa è che queste consonanti si incontrano anche in Sardegna, in Corsica e in alcuni paesi delle Alpi Apuane in cui capita di sentir dire "padda" invece di "palla", "paddone" invece di "pallone"».
Perché accade tutto questo?

«È stato attribuito a un sostrato di popolazioni molto remote, precedenti ai romani che nella loro lingua avrebbero avuto queste consonanti».

Si trattava forse di popolazioni ancora piùantiche degli etruschi?
«Molto probabilmente sì... Ma questa non è l'unica curiosità che si scopre, da un punto di vi sta linguistico, nell'ltalia centro meridionale...».

Quali sono le altre?

«Esistono per esempio località in provincia di Foggia, come Faeto e Celle San Vito, in cui dal Trecento si è diffuso il franco provenzale e a Guardia Piemontese, in provincia di Cosenza, lo stesso è accaduto a partire dal Cinquecento. Esistono poi colonie gallo-italiche in Sicilia di provenienza naturalmente settentrionale. E questo in località come San Fratello, Novara, da non confondere con l'omonima città del Piemonte, Sperlinga, Nicosia, Aidone, Piazza Armerina, Randazzo. Si tratta di un ulteriore esempio di quanto sia estremamente interessante la storia linguistica della Sicilia. E proprio su questa regione esiste un acceso dibattito fra gli studiosi...».

Su cosa verte la contesa?
«La questione è se la Sicilia è stata romanizzata due volte: prima con i romani e poi con i normanni. E' una contesa naturalmente linguistica fra chi insomma sostiene che il siciliano è la continuazione del latino e altri che considerano questa lingua come frutto di una seconda romanizzazione, fatta dal Settentrione in epoca pi˜ recente, dai normanni appunto».
E lei, professor Bolelli, da che parte sta?

«Io penso che il siciliano sia una continuazione del latino. Se poi ci sono stati degli apporti successivi dei normanni lo posso accettare ma quello che non con divido è che ci possa essere stata fra gli uni e gli altri una interruzione di carattere linguistico. Il mutamento del siciliano per me è insomma avvenuto per cause storiche, non credo proprio che a un certo punto i siciliani abbiano abbandonato il latino per il greco e poi siano tornati di nuovo al latino».

Però in Sicilia c'erano delle colonie greche...

«Certo ci sono state città che parlavano greco. Basta pensare a Siracusa e ad Agrigento... Però a un certo punto il greco è pian piano scomparso, ha ceduto il passo al latino. Infatti non è un caso che oggi come oggi "colonie" greche in Sicilia non ci siano più, rimane soltanto qualcuna albanese. Ma anche a proposito degli insediamenti greci in Italia esiste un grosso dibattito fra gli studiosi. Si discute cioè se questi risalgano all'ottavo secolo avanti Cristo oppure si tratti invece di colonizzazioni posteriori, avvenute nell'età cristiana, e più precisamente nel sesto, settimo secolo dopo Cristo».

E gli insediamenti albanesi a quando risalgono?

«Beh, quelli ci riconducono ai tempi in cui l'Albania Ë stata conquistata dai turchi nel secolo XV. E stato appunto allora che molti albanesi si sono rifugiati in Italia... Per completare poi il nostro discorso sui dialetti italiani resta infine da dire qualcosa a proposito del ladino. Questa èuna varietà di lingua romanza la cui sezione orientale è formata dal friulano e la sezione centrale da valli dolomitiche come quelle di Fassa, Gardena, Badia, Marebbe e, ancora, Livinallongo, Ampezzo e il Comelico. Il ladino è anche diffuso in Svizzera nel Cantone dei Grigioni. E una delle sue carat teristiche, giusto per fare un esempio, è il plurale che si forma ponendo una "s" alla fine delle parole. Cioè fiori in ladino si dice "flors"».
In conclusione, professor Bolelli, fra i grandi gruppi di dialetti, quelli dell'ltalia settentrionale e quelli centro-meridionali, esiste a suo avviso qualche elemento in comune?

«Direi proprio di no. Ogni dialetto ha le sue caratteristiche. Insomma, i vari dialetti non costituiscono un'unica linea retta ma sono come tanti segmenti, ciascuno dei quali succede all'altro. Faccio un esempio. Quando in Emilia diciamo che la "a" accentata diventa "e " per cui si dice "peder " invece di "pader", "meder" invece di "mader ", questa è una costante che seguiamo fin dove arriva, poi, a un certo punto, vediamo che non c'è più, entriamo in un' altra zona con altre caratteristiche. Ecco è finito un segmento dialettale e ne comincia un altro».
Vittorio E. Polito


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VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! Empty LA SUSTA E LE CAZZAROLE

Messaggio  Admin Gio Dic 04, 2008 4:19 pm

LA SUSTA E LE CAZZAROLE
Da Admin il Sab 16 Ago 2008 - 16:23

A Venezia per dire che si è giù di morale, che ci si sente fiacchi, si dice Sò zò de susta, sono giù di susta, a Bari per dire che si è tesi come una molla, che si è nervosi, si dice Tengo la susta. Stranamente in questi due nobili dialetti la parola susta viene usata, mentre in italiano, la parola susta, che appartiene al lessico italiano, e che significa molla, non viene praticamente mai usata . Un esempio classico di termine italiano negletto in italiano ed usato solo in dialetto.
In spagnolo le cazaròlas sono le pentole di alluminio. In barese le cazzaròle sono le pentole di alluminio.
Ciao a tutti e buone ferie!
Franz
P.S. Ho detto che il veneto è un nobile dialetto, forse avrei dovuto dire che è una lingua. Per tagliare la testa al toro, quando un dialetto viene chiamato lingua? Per quello che ne so io, un dialetto diventa lingua quando viene usato come lingua ufficiale nei documenti ufficiali dell'epoca. C'è qualche altro forumista che può darci ulteriori informazioni?
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RE: LA SUSTA, LE CAZZAROLE E... IL DIALETTO
Da Vittorio E. Polito il Sab 16 Ago 2008 - 19:44

Caro Franz,



Secondo il vocabolario della lingua italiana Treccani per dialetto s'intende:

1. Sistema linguistico di ambito geografico o culturale limitato e per lo più di uso solo parlato, a cui si contrappone la lingua ufficiale o nazionale di un paese: i d. italiani e la lingua nazionale; parlare, scrivere in dialetto, e parlare, capire un dialetto; letteratura, poesia, in dialetto. 2. Versione di un linguaggio di programmazione leggermente modificata rispetto alla versione standard.

Le conclusioni sono facilmente intuibili. Io sono d'accordo con il Treccani, poichè non credo che in qualche paese italiano o straniero vi sia un dialetto che abbia il rango di lingua nazionale.

Attendiamo altri contributi.

Ciao

Vittorio
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Messaggio  Nico Lomuto Ven Gen 09, 2009 4:50 pm

a squicce all'uiltima goccia, quasi a secco
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VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! VARIE! Empty sezze-sezze (?)

Messaggio  Nico Lomuto Ven Gen 09, 2009 5:07 pm

Io ricordo vagamente un'espressione sezze-sezze. Esiste? (Che poi potrebbe anche essere non barese ma gravinese). E che vuol dire? io ricordo vagamente "raso-raso" o "pari-pari", cioè identico.
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