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ALTRI DIALETTI: NOTIZIE, BIBLIOGRAFIA, INFORMAZIONI, NOVITA' ED ALTRO

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Messaggio  Vittorio E. Polito Ven Nov 27, 2009 7:01 pm

LA BIBLIOGRAFIA CHE SEGUE SI RIFERISCE ESCLUSIVAMENTE A VOLUMI IN POSSESSO DEL SOTTOSCRITTO
AGGIORNATA AL 18 SETTEMBRE 2021

ABBATTISTA T.: Nu pìcche dòlce e… n’àte pìcche amàire. Un paese a memoria. Pubblicato da Regione Puglia C.R.S.E.C. Fg. 35 di Trinitapoli 1997. Raccolta di poesie nel dialetto di San Ferdinando di Puglia (FG).
AMATO D.: Chjêngaréddərə. Minervini Molfetta (BA) 2005. Poesie in dialetto molfettese.
ANGIULLI A.: L'eredetà de paraule. Faso Editrice Fasano 2018. Poesie e racconti in dialetto fasanese (BR).
ANZIVINO A.: Si dice a Foggia. Claudio Grenzi Editore, Foggia 2000. Motti modi di dire, proverbi del dialetto foggiano.
COLASUONNO G., DE PALO V.: Vocabolario del dialetto di Palo del Colle. Levante Editori, Bari 1996. Con brani di letteratura dialettale, oggetti non più in uso, personaggi e luoghi caratteristici.
D'ACQUAVIVA V.: Dialetto Vivo: U mulàisə. WIP Edizioni, 2020. Presentazione di Vittorio Polito.
DATTOLO S., DATTOLO I. (a cura di): Compagni di viaggio di Liberazione di Sentimenti. Rassegna Antologica. Levante Editori, Bari 2010. Dialetto, poesia e tradizioni come liberazione di sentimenti. Dialetto di Mola di Bari.
DEL VECCHIO L.: Saggezza popolare tra sacro e profano. Levante Editori, Bari 1991. Proverbi, detti, canti di Sant'Agata di Puglia
DIZIONARIO DEL DIALETTO DI CASSANO DELLE MURGE. A cura Univ. Terza Età. Giovanni Monfreda, Cassano 2013.
ELIA G.S.: La sapienza popolare a Trinitapoli. Schena Editore, Fasano (BR) 1995. Proverbi, aforismi, modi di dire, motti, sentenze, usi e costumi in forme dialettali.
ELIA G.S.: Dizionario del dialetto di Trinitapoli. Levante Editori, Bari 2004.
FONZECA T.: Ddò ti fite t'acchie jannate. Parole, detti e proverbi Leporani. Lisi Editore, Leporano 1997.
GALANTE G.: La cucina tradizionale di San Marco in Lamis. Paolo Malagrinò Editore, Bari 1999. Ricette con titoli in dialetto sammarchese con relativo glossario.
GALANTE G., GALANTE M.: Dizionario del dialetto di San Marco in Lamis. Levante Editori, Bari 2006
GALANTE G.: La religiosità popolare di San Marco in Lamis (Li còse de Ddì). Paolo Malagrinò Editore, Bari 2001. Un viaggio nella memoria collettiva alla riscoperta della cultura religiosa popolare attraverso anche la salvaguardia del dialetto, lingua madre per eccellenza che spesso ha una pregnanza più sottile e profonda della lingua italiana.
GALANTE G. Fiabe e Favole (raccolte a San Marco in Lamis). Levante Editori, Bari 2010. Un viaggio nelle fiabe e nelle favole in lingua e in dialetto di San Marco in Lamis, raccolte dall’autrice. Interessante e originale.
GALANTE G.: Li cunte. Vangelo popolare e racconti veri e verosimili. Levante Editori, Bari 2012. 
GRANDOLFO N.: Vetritte léngh'e stritte. Proverbi, filastrocche, poesie e racconti in dialetto di Bitritto. Wip Edizioni, Bari 2014. 
LABOMBARDA A.: Lessico. Proverbi, modi di dire, cantilene, preghiere, stornelli, favole giovinazzesi. Levante Editori, Bari 1990.
LOCAPUTO P: Dizionario della parlata conversanese. Levante Editori, Bari 2010.
MARANGI G.G.: La parlata dei Martinesi e altri ricordi (con lessico). Nuova Editrice Apulia, Martina Franca 2010.
MATAROZZO R.: Proverbi e detti calabresi raccolti e commentati da Rocco Matarozzo. Prefazione di Gaetano Veneto. Levante editore, Bari 2017
PALUMBO A.: Postille al Vocabolario etimologico illustrato del dialetto molese. WIP Edizioni, 2021.
PASTORE G.: Lessico capursese. Levante Editori, Bari 2002. Il linguaggio angelico. Glossario. Un viaggio alla scoperta della parola, una legata alla terra ed al suo passato in cui emerge uno straordinario patrimonio, che attraverso questa pubblicazione viene tramandato ai più giovani.
PIACENTE N.: Re sopanòmere (I Soprannomi). Tip. Levante di M. Cavalli, Bari 1968. Racconto con soprannomi in dialetto bitontino.
REGIONE PUGLIA: Le parole della memoria. (Antologia della poesia dialettale della Daunia). Pubblicato a cura della Regione Puglia, C.R.S.E.C. FG/30. Lucera 1992. Con un saggio critico di Giuseppe De Matteis
REGIONE PUGLIA: Tuppe tuppe lu pertengine. Pubblicato a cura della Regione Puglia, C.R.S.E.C. Ba/6 Monopoli-Polignano a Mare 2001. Antichi canti raccolti a Polignano a Mare.
SEMERARO A.G.: Ce te arrecùrde... - Aneddoti di un tempo. Schena Editore, Fasano (BR) 2002. Dialetto di Martina Franca.
RICCIARDELLI P.: I prújèrbẹ tùrmàġġiùrísẹ. Leone Editore, Foggia. Vol. I (A-B) 1995, Vol. II (C-D), 1997, Vol. III (E-L) 1999, Vol. IV (M-Q) 2001, Vol. V (R-Z) 2003. La parlata di Torremaggiore attraverso proverbi, frizzi, motti, lazzi e modi di dire con note etimo-fono-glottologiche e grammaticali, preceduti da cenni storici sulla città.
VALENTE V.: Profilo dei dialetti italiani. n. 15 Puglia. Pacini Editore, Pisa1975.
VOLPE L.: Dizionario del dialetto di Bitritto (Dialetto/italiano - Italiano/dialetto. Wip Edizioni, 2014.
ZAZA M.: U ndrettíene. Editrice Edirespa, Molfetta 1996. Regione Puglia, C.R.S.E.C. Molfetta 1996. Poesie e racconti in dialetto molfettese.
ZAZA M.: La chiazzòdde. Ed. Cooperativa Cattolica, Molfetta 2000. Racconti in dialetto molfettese.
ZAZA M.: Mêle de Murge. (Male di Murgia). Ed. Edirespa Molfetta. 2002. Silloge in dialetto molfettese con testi italiani.
ZAZA M: Chèsse cinghe. Poesie in vernacolo molfettese con testi italiani. Editrice "Edirespa", Molfetta 2002


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Messaggio  Vittorio E. Polito Mar Mar 16, 2010 2:42 pm

da
http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/bari/notizie/economia/2010/18-gennaio-2010/i-gadget-dialetto-leccese-sbarcano-fiera-milano-1602307654100.shtml
L'AZIENDA

I gadget in dialetto leccese
sbarcano in Fiera a Milano


«Lassatime perdere ca stau picciusu»: sono gli oggetti
di «Fermento», il marchio delle sorelle Liaci


LECCE - Doveva restare una produzione locale. Oggi invece sfida i mercati e tenta il salto nazionale (e internazionale). Settore: gadget. Target che più ampio non si può: da zero a novant’anni. Fonte d’ispirazione: il dialetto salentino. Laura e Paola Liaci sono le creatrici di Fermento, l’azienda/marchio leccese di cui sono ideatrici e produttrici, insieme al padre Edoardo. Venticinque anni la prima, ventuno la seconda, producono t-shirt, bavette, tazzoni: gadget, per l’appunto, su cui stampigliano frasi dialettali («Lassatime perdere ca stau picciusu», è forse la loro frase/slogan più famosa). Sono partite due anni fa, in piena crisi dei mercati, ma è pur vero che ci sono quelli a cui la crisi dà pesanti batoste, e altri cui la crisi aguzza l’ingegno. È il loro caso. Non per niente hanno scelto di chiamarsi Fermento, «tipico delle persone attive, che non si fermano mai, nemmeno di fronte alle difficoltà, una parola che ci rappresenta», dice Laura, laurea in Economia ed eloquio facile.

Dialetto leccese alla conquista di Milano
(le immagini sono visibili sul sito originale)

Dopo due anni di gavetta locale (i loro prodotti sono conosciutissimi nel Salento e richiesti in tutta la regione), oggi tentano di superare i confini e di convincere una platea più ampia. In questi giorni sono al Macef, il salone internazionale della casa, presso la fiera di Milano. «Un traguardo importante - dice Laura - Quando è iniziata questa esperienza, quasi non osavamo immaginarlo. Ma sono mesi che preparavamo questa trasferta. È la testimonianza non solo dell’esistenza dell’imprenditoria salentina, ma della voglia di osare, di un modo di fare impresa giovane, dinamico ed orgoglioso delle sue radici». Certo, non fossero state orgogliose delle loro radici, nemmeno l’avrebbero concepita un’idea del genere («Lu lecce inthra lu core», è un’altra delle frasi più stampate sulle loro magliette, o «Ieu no sacciu nienti, su riatu moi», la scritta più richiesta sulle loro bavette). Difficile pensare che gadget così possano convincere il mercato leghista, che oggetti come questi possano appassionare i rappresentanti di commercio lombardi o veneti, tanto per dire.

A meno che, anche Fermento non diventi un altro di quei tasselli che insieme alla musica, al turismo, ai trulli e alle masserie contribuisce ad alimentare quella Pugliamania cui al Nord non riescono a resistere. Le sorelle gadget comunque hanno pensato a tutto. Stanno ampliando il campo d’ispirazione: non più solo dialetto salentino, ma un po’ tutti i dialetti regionali, e poi addirittura gadget con scritte in inglese, tedesco, francese. Le manda avanti il padre, trentacinque anni d’esperienza nel settore del commercio: «Lui è l’amministratore dell’azienda, è la nostra sicurezza, non potremmo mai fare nulla senza la sua supervisione». Il loro imprinting è tuttavia evidente: comunicano via internet (www.fermentosalento.it), hanno un punto vendita a due passi dal Duomo, nel pieno della movida leccese, un record di migliaia di t-shirt vendute in una sola estate, e se chiedi loro come definire la produzione Fermento, rispondono «fore de capu» (il più entusiastico dei loro slogan).

Paola Moscardino
18 gennaio 2010 (ultima modifica: 21 gennaio 2010)
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Messaggio  Vittorio E. Polito Lun Apr 12, 2010 6:11 pm

DA "BARISERA" DEL 12 APRILE 2010, PAG. 20
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Messaggio  Vittorio E. Polito Mar Apr 13, 2010 7:21 am

TRETÌPPE E MARTÌDDE QUESTO E QUEST’ALTRO DI VINCENZO MASTROPIRRO.
RECENSIONE DI GIANCARLO VISITILLI


DA "BARISERA" DEL 12 APRILE 2010, PAG. 22

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Ultima modifica di Vittorio E. Polito il Mar Apr 13, 2010 7:28 am - modificato 3 volte. (Motivazione : TRETÌPPE E MARTÌDDE QUESTO E QUEST’ALTRO DI VINCENO MASTROPIRRO)
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Messaggio  Vittorio E. Polito Mar Giu 22, 2010 6:13 pm

CORRIERE DEL MEZZOGIORNO.it

nell'album «canti randagi. 2»

Omaggio ai dialetti e a De André
«Sidàn Capudàn Pascià» sotto il Vesuvio


Il brano di «Creuza de mä» cantato in napoletano

La sperimentazione musicale di Fabrizio De André con i dialetti regionali viene omaggiata nella raccolta «Canti Randagi.2», un album che tra i suoi titoli propone un'inedita versione di Sidàn Capudàn Pascià, canzone tratta da Creuza de mä del 1984, riproposta non in genovese ma in napoletano nell'interpretazione del gruppo Pietrarsa e Mimmo Maglionico con la partecipazione di Marzouk Mejeri.

MULTIDIALETTO - In tempo di federalismo culturale, il lavoro di De André viene ripreso nel progetto discografico nato per celebrare i venticinque anni dalla data di pubblicazione di Creuza de mä, uno degli album più evocativi di Faber completamente cantato in genovese, ma presto trasformatosi in un tributo all'attualità culturale del cantautore. In «Canti Randagi», raccolta del 1995, sono già stati riproposti undici brani in differenti dialetti, dal sardo al piemontese al napoletano di Peppe Barra con una versione di Bocca di Rosa. Oggi molti dei protagonisti di allora, in tutto dieci formazioni musicali, propongono in «Canti Randagi.2» nuovi tributi. Tra i titoli, «Fiume Sand Creek» nel lombardo dei Baraban, «Preghiera in Gennaio» nel sardo di Elena Ledda in Quartetto e «Franziska», nell'occitano della Banditaliana con la partecipazione del duo vocale Trobairitz d'oc. In più, un intervento di Petra Magoni e Ferruccio Spinetti provocatoriamente in francese, come se fosse un dialetto internazionale, con «La romance de Marinelle» e uno di Cristiano De André, in ligure con «‘A çimma». La raccolta sarà presentata ufficialmente venerdì 18 giugno alle 14,30.

MINORANZE - De André, del resto, aveva sempre considerato il dialetto come vera e propria lingua popolare, tanto da sperimentarne anche di diversi dal proprio, come il napoletano di «Don Raffaè» o il sardo di «Zirichiltaggia» e «Monti di Mola». Tant'è che il progetto portato avanti da «Cose di Musica» con il patrocinio della «Fondazione Fabrizio De Andrè - Onlus», fu apprezzato dallo stesso artista nella sua prima edizione, in quanto raro approccio italiano alla nostra musica etnica e all'espressività artistica dei linguaggi delle minoranze.


Redazione online
16 giugno 2010
(ultima modifica: 17 giugno 2010)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Messaggio  Vittorio E. Polito Ven Lug 09, 2010 3:23 pm

Levante Editori - Bari - pag. 521, € 40

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Il Dizionario risponde all'intento e all'impegno dell'Autore di offrire alle generazioni future uno specchio fedele della Conversano della metà del XX secolo, non solo del modo di comunicare e di esprimersi della sua gente, ma anche e soprattutto del suo modo di vivere, delle sue abitudini e usanze, in gran parte oggi scomparse; uno scrigno che custodisse l'anima collettiva e l'identità autentica di una comunità che la modernità tende a diluire nell'anonimato e nell'omologazione.
Il Dizionario, quindi, è un'ampia e variegata documentazione di un mondo colto in un preciso momento (gli anni Cinquanta) della sua trasformazione (e forse della sua involuzione), illustrato nelle voci e nei suoni del dialetto, nei modi di dire sempre suggestivi, nelle espressioni della saggezza popolare e della cultura contadina, oltre che nella descrizione degli oggetti e degli attrezzi del lavoro e della vita quotidiana. Inoltre il Dizionario ci rimanda ad una realtà linguistica che appare autonoma nella sua struttura, nelle sue articolazioni e nelle sue radici, degna di reggere il confronto con la lingua italiana, a dispetto dei pregiudizi di un tempo che la volevano degradata a gergo di strati sociali volgari e straccioni.
Il saggio (di oltre cinquecento pagine) principia con un' Introduzione (cenni di fonetica, morfologia e linguistica); seguono: cinquemila lemmi completi di indicazioni morfologiche e sintattiche (formazione del femminile, del plurale), paradigmi verbali regolari e irregolari; tremilaottocento ipotesi etimologiche; quattromilatrecento frasi idiomatiche. In "Appendice" filastrocche, canti, giochi, toponimi e rimembranze paesane in versi (situazioni, personaggi, ricorrenze).
Indice: Presentazione dell'Amministrazione Comunale di Conversano – Premessa – Introduzione: Problemi metodologici Italianismi; Etimologia; Rappresentazione grafica dei suoni; Raddoppiamento della consonante iniziale; Vocali; Consonanti; Segni grafici Note morfologiche 1) Il femminile 2) Il plurale 3) La coniugazione verbale 4) Due verbi anomali ma servizievoli 5) La perifrastica del futuro 6) L'imperativo negativo Curiosità idiomatiche 1) La i eufonica 2) Il doppio participio passato 3) Alcuni costrutti particolari 4) Ènclisi e pròclisi 5) Le prepotenze della "n" e il fenomeno della lenizione 6) Consonantismo 7) Le illustrazioni
Conclusioni – Abbreviazioni – Dizionario – Appendice: Filastrocche; Canti e cantilene; Giochi e passatempi; Toponimi urbani e rurali; I nomi di persona; Rimembranze paesane – Bibliografia
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Messaggio  Vittorio E. Polito Mar Lug 13, 2010 4:43 am

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12 LUGLIO 2010, PAG. 22

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Messaggio  Vittorio E. Polito Gio Lug 15, 2010 6:54 pm

Da: http://www.liradeltacco.it/




ECCO A VOI IL DIZIONARIO DEL "CONVERSANESE"



Scritto da Vittorio Polito

Giovedì 15 Luglio 2010 15:21

È stato pubblicato dalla Levante Editori di Bari il “Dizionario della parlata conversanese” di Pasquale Locaputo (pagg. 521 - € 40). Pasquale Locaputo ha alle spalle una lunga carriera di docente di materie letterarie, in particolare di latino e storia ed è stato tra i fondatori dell’Istituto Magistrale Statale “San Benedetto” di Conversano, redattore dell’Annuario dell’Istituto Magistrale ed autore del volume “Le masciare”. Per un decennio è stato presidente dell’Associazione Culturale “Luigi Sturzo” nella stessa città, continuando così l’opera del fondatore Matteo Fantasia, nel corso del quale ha diretto la pubblicazione del “Panorama culturale” per la serie “I quaderni della Sturzo”.

«Mettere insieme le parole del dialetto, scrive l’autore nella premessa -ingegnarsi di rappresentare graficamente i suoni non possono avere lo scopo di insegnare a parlare in dialetto. Nessun ragazzo, che non abbia imparato il dialetto dalla bocca della mamma e non l’abbia respirato nell’ambiente di famiglia e del paese, si sognerebbe mai di mettersi a tavolino per studiarne il lessico, la morfologia, i modi di dire».

Locaputo, attraverso la sua opera intende fornire uno specchio fedele dalla Conversano della metà del XX secolo, non solo nel modo di comunicare e di esprimersi della sua gente, ma anche del suo modo di vivere, delle sue abitudini, delle sue usanze e dei suoi mestieri, molti dei quali oggi scomparsi.

Il dizionario è un’ampia e variegata documentazione di un mondo colto in un preciso momento storico di Conversano, illustrato nelle voci e nei suoni del dialetto, nei modi di dire, nelle espressioni della saggezza popolare e della cultura contadina. Locaputo, infatti, oltre alla descrizione degli oggetti fornisce ai lettori una serie di immagini relative ad oggetti ed attrezzi di lavoro ormai non più in uso.

Il vocabolario, che annovera cinquemila lemmi con indicazioni morfologiche e sintattiche, paradigmi verbali regolari e irregolari, tremilaottocento ipotesi etimologiche e quattromilatrecento frasi idiomatiche, è completato con un appendice dedicato a filastrocche, canti e cantilene, giochi e passatempi, toponimi urbani e rurali, rimembranze paesane in versi.

Dalla presentazione del sindaco di Conversano, Giuseppe Lovascio, e dell’assessore alle politiche culturali Pasquale Sibilia, si legge che “La storia di un popolo passa attraverso le sue tradizioni culturali, religiose e linguistiche, preservare tali tradizioni nel tempo è dovere di ogni cittadino e di ogni amministratore pubblico, poiché, nel governare un paese, non si può prescindere dalla conoscenza e dal rispetto della sua storia». Pertanto va dato atto a Locaputo del suo prezioso lavoro di ricerca e di recupero di tanto materiale che sarà di sicuro ausilio non solo ai suoi concittadini ma anche agli studiosi della materia.

La copertina è del maestro Tony Prayer e mostra la “Cinta ottocentesca della città di Conversano” (olio su tela cm 70x100 - 2009).
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Messaggio  Vittorio E. Polito Gio Lug 22, 2010 6:48 am

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ALTRI DIALETTI: NOTIZIE, BIBLIOGRAFIA, INFORMAZIONI, NOVITA' ED ALTRO Empty DAL QUOTIDIANO "PUGLIA" DEL 25 SETTEMBRE 2010, PAG. 9

Messaggio  Vittorio E. Polito Sab Set 25, 2010 5:19 am

Profilo linguistico sensibilmente frammentato: ricchezza per la regione

I dialetti sono come pendolari in Lucania: la storia
comincia con lo sbarco dei greci nell’VIII sec. a.C.


Non esiste il dialetto lucano ma i dialetti lucani. Esiste cioè un pendolarismo tra vari universi linguistici che hanno coabitato per secoli, e che esprimono ancora oggi ciascuno una mentalità, una letteratura e condizioni sociali riconducibili alla stessa terra madre. Il profilo linguistico della Basilicata è sensibilmente frammentato, date le differenti vicende storiche che l’hanno attraversata, ma non esistono dei veri e propri confini dialettali: siamo in presenza, semmai, di un grande “ipersistema linguistico”, nel quale l’isolamento geografico e di conseguenza culturale hanno generato l’arcaicità ed insieme la vitalità delle forme. La loro individualità e molteplicità è una ricchezza per la regione, che ha saputo coltivare e tenere unite attraverso i secoli lingue e tradizioni diverse.
Per comprenderne meglio le particolarità, è opportuno fare un breve excursus socio-linguistico. La storia dei popoli della Lucania iniziò tanto tempo fa, nell’VIII secolo a.C., quando i Greci sbarcarono nella parte meridionale della regione. Qui fondarono alcune città, divenute presto floridi centri della Magna Graecia: Metaponto, Siri (Nova Siri), Turi (nei pressi di Sibari, in Calabria), Heraclea (Policoro), Pandósia (Anglona). Perciò il patrimonio linguistico greco nella Basilicata meridionale è considerevole, e si manifesta soprattutto nel lessico e nella toponomastica dialettale dell‘area metapontina. Molte sono, infatti, le parole di origine greca, tra cui: ì lágënë (le lasagne), che derivano dal greco u krúëpë (il letame) cítrënë (giallo, pallido).
Nel 198 a.C. le città greche e i Lucani si sottomisero al dominio dei Romani, che fondarono colonie a Forentum (Forenza) e Venusia (Venosa), ma anche a Pesto (Paestum), Buxentum (Policastro Bussentino) nel 194 e Forum Popilii (Polla) nel 132, oggi nella provincia salernitana. Solo Grumentum, costruita in età graccana (133-121 a.C.) all’incrocio delle due importanti vie di comunicazione romane, la via Herculea e la via Popilia, ha influito in maniera costante sulla latinizzazione della regione, alimentata essenzialmente dalla via Appia che, a partire dal secondo secolo, attraversando la parte settentrionale della regione, costituì un importante veicolo di innovazioni linguistiche.
Tra le parole risalenti al latino classico troviamo, ad esempio, il termine “cugino”, da consobrinus, che ad Oliveto ed Aliano è u kússëprínë; a vënárrë (avena selvatica, Tursi) <lat. avenaria; kráy (domani) < lat. cras; piskráy (dopodomani) < lat. post cras. Verso la prima metà del 1200 si registra nell’Italia meridionale e in Sicilia una massiccia presenza di immigrati piemontesi provenienti dal Monferrato, e di liguri dall’entroterra savonese. Probabilmente si trattava di gruppi di eretici valdesi in fuga verso terre simili orograficamente alle proprie. Furono accolti da Federico II, che li sottrasse così ai tribunali dell’Inquisizione.
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Messaggio  Vittorio E. Polito Ven Ott 29, 2010 1:38 pm

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ALTRI DIALETTI: NOTIZIE, BIBLIOGRAFIA, INFORMAZIONI, NOVITA' ED ALTRO Empty FIABE E FAVOLE di Grazia Galante (Levante Editori, Bari)

Messaggio  Vittorio E. Polito Gio Dic 16, 2010 11:24 am

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Da Barisera del 13 dicembre 2010, pag. 20

FIABE E FAVOLE NATE SUL GARGANO
Vittorio Polito

Giunge puntuale per il periodo natalizio il libro di Grazia Galante “Fiabe e Favole” (Levante Editori - pagg. 309 - € 20), con prefazione di Raffaele Nigro.
L’autrice, docente di materie letterarie, costantemente interessata alle tradizioni del suo paese, ha pubblicato altri importanti volumi, tra cui il voluminoso “Dizionario del dialetto di San Marco in Lamis”, sempre con Levante.
Questa volta Galante ha pensato ai bambini, considerando che l’abitudine di raccontare fiabe da parte dei nonni ai nipoti appartiene ormai al passato, dal momento che televisione, computer e giochi elettronici hanno preso il posto dei nonni. Ascoltare i racconti dai nonni o da persone care non è la stessa cosa che seguirli alla TV.
Intanto vediamo la differenza tra fiaba e favola. La prima rappresenta una breve narrazione, in prosa o in versi, in cui sono protagonisti, insieme con gli uomini, anche animali, piante o esseri inanimati, e che racchiude un insegnamento morale, mentre la fiaba è un racconto fantastico, di solito in prosa, e ad ampio sviluppo narrativo, che ha per protagonisti esseri umani (a differenza della favola), in cui intervengono spiriti benefici o malefici, dèmoni, streghe e fate.
In questa raccolta Galante ha riportato, egregiamente, oltre al materiale da lei recuperato, anche parecchie fiabe e favole raccolte dai suoi ex alunni, intervistando per lo più donne di bassa cultura che si sono espresse in vernacolo, e da Matteo Coco, il cui argomento è stato oggetto della sua tesi di laurea. L’antologia riporta, sia in dialetto di San Marco in Lamis, che in lingua la narrazione ascoltata dalla viva voce degli abitanti. Alcune di queste fiabe hanno subito delle varianti, volutamente inserite dall’autrice allo scopo di conservare il materiale della cultura orale.
Scopo della pubblicazione è quello di stimolare attraverso il racconto o la lettura, la fantasia, l’immaginazione dei piccoli come avveniva un tempo, ed anche per far felici coloro che conservano nella memoria il ricordo di un tempo che ormai non c’è più.
Scrive Raffaele Nigro nella prefazione che la raccolta è stata “Condotta per amore, per troppo amore verso le radici e verso la terra, sicuramente, ma soprattutto per uno spirito di servizio. Il desiderio di salvare il patrimonio culturale e letterario del mondo garganico e consegnarlo alla posterità del mondo intero”.
Copertina, foto e disegni di Donato Nardella, Antonietta Martino e Olga Tardio.
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Messaggio  Vittorio E. Polito Sab Gen 08, 2011 2:38 pm

Recensione da "La Gazzetta del Mezzogiorno" dell'8 gennaio 2011, pag. 18-19

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Messaggio  Vittorio E. Polito Mer Feb 02, 2011 3:26 pm

Dal quotidiano “PUGLIA” del 1.2.2011 pag. 8
Iniziativa dell’Accademia del Trabucco
Peschici, il dialetto come
eredità della nostra storia
di Piero Giannini


PESCHICI - La costituenda associazione culturale Accademia del Trabucco, presenterà oggi una sua iniziativa - il “Progetto Tatëtàtë” - agli allievi del Liceo Scientifico e dell’Istituto Tecnico per il Turismo della Scuola “Fazzini”, sede staccata di Peschici. L’Accademia ha come obiettivo di esaltare il clima culturale nel Comune di Peschici, rafforzare l’identità del cittadino peschiciano e lo spirito di cittadinanza peschiciana. Membri dell’associazione sono, fra gli altri, i docenti Veria Iacaruso e Angelo Piemontese (rispettivamente fiduciari Itt e Scientifico), Leonardo Di Miscia (assessore a Cultura Comune di Peschici), il direttore editoriale di “new Punto di Stella” che scrive, Paolo Labombarda (docente universitario, scrittore).
Il “Progetto Tatëtàtë”, recentemente attivato dall’Accademia, ha come obiettivo di ‘sistematizzare’ l’alfabeto, la grammatica e il dizionario del dialetto peschiciano. Il dialetto - è noto – costituisce un attributo distintivo della identità di una popolazione,
identità che gli anziani possono tramandare e i giovani perpetuare e valorizzare. l’importanza del dialetto (adattamento da M. Eramo) = Nell’epoca della globalizzazione in cui Internet regna sovrana, dove le comunicazioni avvengono attraverso congegni elettronici che, da una parte sono il frutto di un progresso inevitabile ma, dall’altra, ci tolgono il piacere di comunicare guardandoci negli occhi, parlare di dialetti può sembrare anacronistico. Non è così: il dialetto fa parte del bagaglio culturale che ognuno di noi porta sulle spalle ed è l’inevitabile segno che ci fa dire: noi apparteniamo a un certo luogo, a un certo tempo, che ci identifica e ci colloca nel posto preciso della nostra storia personale. Il dialetto rappresenta la nostra etichetta, le nostre radici, la nostra carta d’identità. Il ‘peschiciano’ è una lingua attraverso cui esprimere pensieri, sentimenti, stati animo. È il mezzo che unisce nel confronto, nel dialogo, nello scambio di idee. Il dialetto del 2000 è molto diverso dalla lingua atavica dei nonni. Tante espressioni si sono addolcite nel corso del tempo, tanti modi di dire si sono persi, tanti vocaboli sono caduti in disuso, tante locuzioni appartenenti al dialetto antico sono sparite. Del resto, le trasformazioni del dialetto sono quasi naturali: la scuola aperta a tutti, la padronanza dell’italiano, la scomparsa dell’analfabetismo hanno portato all’abbandono di alcune forme dialettali strette, quindi oggi si parla un dialetto più vicino all’italiano che tende a tralasciare gli
antichi termini. Nel dialetto peschiciano troviamo molti francesismi, termini di chiara origine spagnola (l’aver fatto parte del Regno delle Due Sicilie è significativo), ma anche parole di chiara origine slava (non dimentichiamo che l’antica ‘Pesclizo’ era una colonia slava). Il dialetto inteso come lingua è il mezzo che identifica tutto: soprannomi, rioni, località. Il dialetto dà nuova forma alle parole, riesce a rendere l’idea prima ancora di ridurla in termini precisi, a volte armonizza e a volte indurisce. Il dialetto è l’espressione di un popolo, è come un abito fatto su misura, è come una spugna che assorbe fatti, episodi, luoghi, persone e restituisce fatti, episodi, luoghi, persone con profilo e identità precisi ma soprattutto con un’anima e nel nostro caso con la nostra anima peschiciana.
Amare il dialetto, usarlo nel nostro quotidiano, insegnarlo ai figli, significa amare noi stessi, significa essere possessori di una grande eredità: l’eredità della nostra storia.


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ALTRI DIALETTI: NOTIZIE, BIBLIOGRAFIA, INFORMAZIONI, NOVITA' ED ALTRO Empty RECENSIONE DEL "DIZIONARIO DEL DIALETTO DI TRINITAPOLI" DI GRAZIA STELLA ELIA

Messaggio  Vittorio E. Polito Gio Apr 07, 2011 6:40 pm

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Dialetti: Anche Trinitapoli ha il suo dizionario
pubblicato
•  martedì 5 aprile 2011
•  in
•  Etichette: Foggia, Libri

di Vittorio Polito

Il dialetto nel corso dei secoli è stato non solo strumento di comunicazione, ma anche mezzo per trasmettere alle generazioni future una sorta di “memoria storica”, un messaggio morale in grado di arricchire e migliorare il rapporto umano. Questo, uno dei motivi determinanti che sta dando nuova vita ai dialetti dal momento che rafforzano la comunicazione con effetto facilitante.
Elia Grazia Stella, ha insegnato per molti anni, trasmettendo ai suoi alunni l’amore per la poesia e per il teatro, impegnandosi da sempre allo studio del suo dialetto, quello di Trinitapoli, fino a pubblicare il corposo “Dizionario del dialetto di Trinitapoli”, (Levante Editori, pagg. 1078 - € 45), grazie anche al contributo dell’Amministrazione Comunale e del dott. Hermes Filipponio, nobile Cavaliere di Malta.
L’autrice, da decenni, si occupa di demologia e di studi relativi al dialetto della sua città d’origine, detto comunemente “casalino”, dal nome “Casaltrinità” che Trinitapoli aveva prima di assumere l’attuale toponimo (1863).
Il vocabolario si avvale della presentazione di Manlio Cortelazzo, professore emerito dell’Università di Padova, scomparso nell’anno 2009, uno dei massimi esperti in materia, autore di numerose pubblicazioni scientifiche sull’argomento, presentate anche su riviste straniere. Egli sostiene nella presentazione che «Il dizionario si distingue soprattutto per i due grandi pregi, che possono trasformare un volume di consultazione in un piacevole e interessante libro di lettura». Inoltre colloca il presente dizionario «Fra i migliori (usando di proposito tale sinonimo, ricordando la sua valenza etimologica, che bene risponde all’abbondanza della fraseologia nel testo), del dialetto di Trinitapoli nel Foggiano, ma non lontana dalla costa barese».
Il Dizionario, presentato in bella veste tipografica, si divide in due parti: il dizionario dialetto-italiano ed un glossario, che non è un vocabolario dall’italiano al dialetto, ma una semplice guida alla consultazione per facilitare la comprensione e la traduzione dei lemmi. Una utilissima bibliografia ed una serie di foto relative a luoghi, tradizioni e costumi locali completano l’interessante ed utile pubblicazione che non dovrebbe mancare nelle scuole e nelle biblioteche pubbliche, soprattutto del territorio della Capitanata.
Arcangelo Barisciano, sindaco di Trinitapoli, nella prefazione auspica che il «Dizionario entri nelle case di tutti i trinitapolesi che vivono in loco, ma anche di quelli che risiedono altrove, quale fonte della parlata e dei valori degli avi, importante punto di riferimento del passato e del presente», ma «giunga anche nelle scuole come strumento valido a far entrare i giovani in un mondo linguistico che a loro appartiene e nel quale è giusto che trovino la linfa ancora viva delle passate generazioni».
Giuseppe De Matteis, ordinario di Letteratura italiana presso l’Università di Pescara, scrive nella postfazione che «La serietà e lo scrupolo di questa fedele interprete dell’anima popolare sta nel fatto che l’Autrice ha inteso in pieno il valore della ricchezza lessicale del dialetto “casalino”, poiché esso possiede un numero sterminato di vocaboli, di forme sinonimiche, di espressioni pregnanti e accattivanti, come i colori e i sapori, gustosissimi della terra di Capitanata. Una grossa fatica, la sua, che non mancherà di richiamare l’attenzione di validi studiosi ed estimatori del ricco patrimonio dialettale pugliese».
Il dott. Vinicio Aquaro, presidente del premio “Valle dei Trulli”, in occasione della presentazione, ha paragonato il dizionario ad una rapsodia, elogiando il grande lavoro dell’autrice nella speranza che il dialetto venga utilizzato continuamente in quanto non è una lingua morta e, come tale, va difeso e rispettato.
Non possiamo che concordare con gli illustri presentatori e complimentarci con l’autrice per il grande e certosino lavoro effettuato che, oltre a essere uno strumento di consultazione per studiosi e cultori della materia, aggiunge un altro importante paletto alla difesa del dialetto, un valore aggiunto a quella lingua di cui nessuno tiene conto quando ci si interroga sul proprio bilinguismo.
Mi piace ricordare, in conclusione, che Andrea Camilleri, qualche anno fa, commentando alcune polemiche agostane sulla nostra prima lingua, ebbe a dichiarare che «Il dialetto è fondamentale per la lingua italiana», concordando con Bruno Migliorini (1896-1975), uno tra i più importanti linguisti italiani del Novecento, il quale sosteneva che: «La lingua è come un albero e i dialetti la sua linfa».


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ALTRI DIALETTI: NOTIZIE, BIBLIOGRAFIA, INFORMAZIONI, NOVITA' ED ALTRO Empty RECENSIONE DEL "DIZIONARIO DEL DIALETTO DI SAN MARCO IN LAMIS" DI GRAZIA E MICHELE GALANTE

Messaggio  Vittorio E. Polito Dom Apr 10, 2011 7:57 am

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http://www.giornaledipuglia.com/2011/04/libri-dizionario-del-dialetto-di-san.html

Libri: Dizionario del dialetto di San Marco in Lamis
pubblicato
• sabato 9 aprile 2011
• in
• Etichette: Foggia, Libri

di Vittorio Polito

Il noto storico, poeta e scrittore barese Armando Perotti (1865-1924), sosteneva che «Chi predica la prossima sparizione dei dialetti, invocando il giorno felice in cui tutti gli italiani parleranno, come insegna la Crusca - Accademia sorta a Firenze nel 1583 con lo scopo di vigilare sul buon uso della lingua italiana - è un illuso, per non dir peggio, chi crede alle generalizzazioni e non sa che la forza della vita sta nella individualizzazione». La conferma che Perotti aveva ragione è data dalla pubblicazione di nuovi libri, grammatiche e dizionari che vedono la luce costantemente, a testimonianza dell’importanza del dialetto, nostra prima lingua, che ci contraddistingue come un’etichetta, che indica le nostre radici, insomma la nostra carta d’identità.
Il dialetto è un patrimonio da non disperdere in quanto strumento di comunicazione, di cultura, di esaltazione della parola, quindi da insegnare ai giovani per tramandarlo ai posteri. Il dialetto è anche una forma di linguaggio verbale più immediata e nello stesso tempo più sofisticata, in quanto riesce ad imprimere quel tanto di drammatizzazione al nostro parlare, funzionando l’espressione dialettale come efficace rafforzamento del nostro eloquio.
Oggi i dialetti si sono italianizzati e tendono a tralasciare gli antichi termini per cui è del tutto inutile accanirsi a ricercare e riportare in auge vocaboli arcaici non più in uso e difficili da comprendere.
Una delle più recenti pubblicazioni, almeno per quanto riguarda la nostra Regione, è il “Dizionario del dialetto di San Marco in Lamis” di Grazia e Michele Galante (Levante Editori, pagg.1136 + 32 fuori testo - € 50). Una poderosa opera che si avvale della prefazione di Tullio De Mauro e della postfazione di Joseph Tusiani.
Si tratta di un dizionario di ventimila lemmi che gli autori propongono ai lettori, ai cultori ed agli studiosi del dialetto, definito dal Commissario Prefettizio del Comune di San Marco in Lamis, Sergio Mazzia, «…una vera e propria festa del linguaggio. Un’opera ricca che fa onore a chi ha avuto il coraggio di intraprenderla ed alla città in cui gli autori sono nati ed hanno operato».
L’autorevole Tullio Mauro, che firma la prefazione, sostiene che «C’è una falsa lettura della realtà linguistica italiana (e non solo) dettata da un’idea altrettanto falsa: che la nostra mente linguistica sia come un secchio o uno sciacquone in cui, se si versa una lingua, forzatamente deve uscirne quella che c’era prima. Non è così. Oggi meglio di ieri ci rendiamo conto di quanto ogni comunità umana sia naturalmente intrisa di plurilinguismo, di coesistenza, anche nelle singole persone, di capacità idiomatiche diverse».
«Questo dizionario – sostiene ancora De Mauro – ha il merito di offrirsi non solo a una consultazione puntuale, ma di invitarci anche a una lettura distesa e continua, gustosa ed affascinante, in cui risuonano nette, precise, documentate, l’eco del passato e le voci del presente».
Joseph Tusiani, figura di rilievo nel campo della letteratura italo-americana, emigrato da San Marco in Lamis, che firma la postfazione, esprime un inno di lode e di gratitudine poiché, sostiene che «…questo Dizionario è il libro che spiega me a me stesso».
Questi i numeri dell’imponente Dizionario: 20.000 lemmi dialetto-italiano, 1.500 proverbi e filastrocche, 2.600 sinonimi e contrari, 500 citazioni di autori dialettofoni, 10.000 lemmi italiano-dialetto, 60 tavole di nomenclatura comprendenti oltre 8.000 termini, indicazioni grammaticali (pronuncia, categoria grammaticale di ogni lemma, plurali e femminili irregolari, flessioni verbali irregolari), 55 foto a colori e 24 in bianco e nero, 46 disegni. Il dizionario si completa anche con una sorta di Repertorio-guida italiano-sammarchese per un’agevole ricerca dei lemmi e di una corposa bibliografia.
Bisogna dare atto a Grazia e Michele Galante autori di vari testi di cultura popolare, cucina tradizionale, saggistica e ricerca storica, per la realizzazione di così importante opera che i sammarchesi potranno consultare per riscoprire l’eco del passato e le voci del presente.
Un merito va anche alla Levante Editori di Bari, che dedica molto spazio alle pubblicazioni nei vari dialetti della nostra bella Puglia.
Hanno contribuito alla realizzazione dell’opera: l’Amministrazione Comunale di San Marco in Lamis, Amedeo Gioiellieri, Matteo Confitto & Figli, Confservice, Studio commerciale di Michele Longo e Studio commerciale Puglia-Leggieri & associati.
Vittorio E. Polito
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ALTRI DIALETTI: NOTIZIE, BIBLIOGRAFIA, INFORMAZIONI, NOVITA' ED ALTRO Empty IL DIZIONARIO ITALIANO-VENETO

Messaggio  Vittorio E. Polito Mar Ago 23, 2011 5:28 am

Da “IL CORRIERE DEL VENETO.it”

IN LIBRERIA - NEL VOLUME DEL PADOVANO LUIGI NARDO AD OGNI PAROLA SI ACCOMPAGNA UN RELATIVO PROVERBIO REGIONALE
Il dizionario italiano-veneto

«L’ho scritto in 25 anni»
L’autore: per la prima volta riunite le varie espressioni

PADOVA — Bisòco, impisolà, indormensà, ninà, inzirimigolà, imbaucà, inebià, impisolio, insonolao. Sono solo alcune delle traduzioni venete del participio passato «addormentato». Gli estimatori del dialetto, anzi dei dialetti della nostra terra, possono trovarne il campionario completo nel Dizionario italiano-veneto «A sercar parole», elaborato in 25 anni di lavoro dal professor Luigi Nardo, docente padovano in pensione, per la «Editoriale Programma». L’opera, 1200 pagine in vendita da oggi a 39 eu¬ro, per la prima volta «traduce» lo Zingarel¬li nella miriade di parlate nostrane, comple¬tando la parziale mission dei vocabolari passati che prendevano in considerazione un solo dialetto provinciale ciascuno. Vene¬ziano e padovano nel volume dell’abate Francesco Patriarchi (1796) che non l’ha completato «per istanchezza», ancora vene¬ziano nel dizionario di Giuseppe Boerio (1856), polesano nel lavoro di Pio Mazzuc¬chi (1907), per citare qualche esempio.
«Io me li sono letti tutti, compreso quel¬lo italiano-ladino di Selva di Cadore — con¬fessa Nardo — il resto delle parole l’ho at¬tinto dalla memoria, dal linguaggio parla¬to, da scritti di romanzieri e giornalisti, tut¬te fonti citate nel dizionario. Inizialmente volevo limitarmi al padovano, la mia lin¬gua madre, ma poi mi è sembrato un ambi¬to troppo limitato e così ho esteso la ricer¬ca a 360 gradi, dimostrando che non esiste un dialetto veneto, ma tanti dialetti veneti. Alcune parole cambiano addirittura all’in¬terno di un stesso paese, passando da una strada all’altra». E così, quello che doveva essere un vocabolario da pubblicare a pun¬tate sul periodico Quattro ciàcoe, co-fonda¬to e per qualche anno diretto dallo stesso Nardo, è diventata un’operazione unica, co¬stata 30 mila euro e sostenuta dalla Regio¬ne con l’acquisto di 500 copie da distribui¬re a biblioteche comunali e civiche.
«L’ispirazione mi è venuta durante una cena con amici — racconta l’autore — a un certo punto ho chiesto loro se si ricordasse¬ro come, da bambini, chiamavano i pop corn. Sono venute fuori le ciopete, le fio¬che, le maroche, le siore o siorete, ma an¬che i frati e le moneghete. Io li chiamavo ciochete. Tutte parole scomparse o cadute in disuso, ma che mi hanno invogliato a continuare nella ricerca. Mai avrei pensato di poter pubblicare un dizionario e se a un certo punto non avessi sostituito la macchi¬na da scrivere con il computer sarei ancora alla lettera B. Lavoravo dalla mattina alla se¬ra, in un’incessante studio a tratti noioso ma quotidianamente ricompensato dalla scoperta di un nuovo voca¬bolo o modo di dire. Due an¬ni fa, arrivato alla Z, ho det¬to: basta mi fermo». Ed è nato «A sercar parole», che si distingue dagli altri dizio¬nari anche perchè arricchi¬sce la «traduzione» di ogni parola con i relativi prover¬bi locali. Sotto la prima, «abate» ( Abà, abate) si leg¬ge: «Chi va a Roma e porta un buon borsoto deventa abate e vescovo de boto».
Tra l’altro il volume esce proprio nel momento in cui in si dibatte l’introduzio¬ne del dialetto a scuola, nei tigì, nelle fiction e nei carto¬on. «Eh sì — sorride il do¬cente — sono stato fortuna¬to. Fosse arrivato in libreria anche solo tre mesi fa, sa¬rebbe passato per un mio hobby e basta. Invece così oltre ai vecchietti come me, può interessare a curiosi e amanti della lingua e servire a tutti a capire che non esiste un dialetto veneto». Un solo rimpianto: «Se avessi iniziato a raccogliere le parole quando ero maestro elementare e si parlava diversamente...». Invece di 1200, le pagine sarebbero state chissà quante. E a chi dice che prima di pensare a inse¬gnare il dialetto a scuola si dovrebbe impa¬rare bene l’italiano? «A cercar parole» ri¬sponde: «Chi vol parlar in cìcara (italiano) presto o tardi casca in piatelo (dialetto)».
Michela Nicolussi Moro
07 ottobre 2009
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ALTRI DIALETTI: NOTIZIE, BIBLIOGRAFIA, INFORMAZIONI, NOVITA' ED ALTRO Empty L'UNESCO: IL DIALETTO SPARIRA' ENTRO IL SECOLO (?)

Messaggio  Vittorio E. Polito Mar Ago 23, 2011 5:33 am

Da “IL CORRIERE DEL VENETO.it”

L’Unesco: il dialetto sparirà entro il secolo

Abbandonato da un residente su tre, è considerato «a rischio estinzione»

VENEZIA — Buttato là come uno straccio, il dialetto veneto, solo nel suo lettino di morte, dimenticato, snobbato dalle lingue ufficiali, quelle parlate e vive, allegre, piene di idee e letteratura scientifica. Quelle capaci di affrontare a testa alta anche la sfida della globalizzazione. «La lingua veneta è parlata da sette veneti su dieci», dice con orgoglio il governatore Luca Zaia aprendo il convegno di linguisti accorsi a parlare di «Veneto: tradizione, tutela e continuità», ieri a Venezia. Ottimo no? Per nulla. Perché non serve andare tanto indietro nel tempo per scoprire che trent’anni fa a parlare i dialetti veneti (o meglio «le lingue del cuore», come ha sottolineato il ministro Roberto Maroni, «guest star») erano dieci su dieci. Un crollo del 30% che se fosse il Pil sarebbero già tutti preoccupatissimi. E allora? A dire il vero anche l’Unesco ha preso paura di fronte a questi numeri. Così tanta paura che tutte le varianti del dialetto veneto sono finite dritte dritte tra le lingue considerate «vulnerabili», insieme al morituro ladino, al franco-provenzale e al misterioso e quasi abbandonato Arbëreshë-Albanese. E la frasetta che spunta là accanto senza preavviso, proprio sul sito dell’Unesco, non fa presagire niente di buono: «Previsione di estinzione».
Non subito per carità. Non c’è così tanta fretta di preparare un requiem cantato in mortem venetiae linguae. C’è ancora un po’ di tempo, il problema coinvolgerà la prossima generazione di veneti, ma lo scenario è apocalittico. «La metà delle lingue parlate nel mondo sono destinate a scomparire entro la fine del secolo », lancia l’allarme il presidente della commissione nazionale dell’Unesco, Giovanni Puglisi. E per fortuna che il secolo in questione è appena iniziato. Resta però una complessa faccenda in sospeso: perché preoccuparsi se la lingua veneta dovesse morire sola nel suo lettino dei sospiri? Banalmente perché senza termini dialettali diventerà più difficile commentare sottovoce il conto dell’idraulico o del dentista. E sarà impossibile descrivere il proprio stato d’animo di fronte a un rigore dato o rubato durante la partita. E non solo: perché lingue e concetti sono strettamente legati («chi parla in veneto, pensa in veneto? », si domanda Arturo Tosi, che guida la cattedra di Sociolinguistica all’University of London e all’Università di Siena) e, come risulta particolarmente complesso dissettare di Aristotele in una delle lingue delle venezie, sarà quasi impossibile anche condurre un certo tipo di aziende senza l’appoggio del dialetto. «Sono centinaia i capitani di industria che conducono le loro trattative in dialetto —assicura l’assessore all’Identità e alla lingua veneta, Daniele Stival—parlano inglese, francese, cinese ma qui, tra loro quando stringono affari e discutono di sviluppo della regione, usano il veneto». Perché le lingue hanno anche una componente organica e biologica, visto che una lingua «è vitale: nasce, cresce e muore proprio come tutti gli esseri viventi», spiega Flavia Ursini, professoressa di sociolinguistica a Padova. Senza un’adeguata politica di tutela del dialetto dunque il risultato è quello descritto dal sito dell’Unesco. E in attesa della politica adeguata, facciamo tutti un giretto sulla versione veneta di Wikipedia, l’enciclopedia «libara e moltilengoe che en sto atimo conta 8.847 vóxe».
Alessio Antonini
12 febbraio 2011
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ALTRI DIALETTI: NOTIZIE, BIBLIOGRAFIA, INFORMAZIONI, NOVITA' ED ALTRO Empty LA LINGUA COMUNE E I SUOI DIALETTI

Messaggio  Vittorio E. Polito Mar Ago 23, 2011 5:41 am

DAL “CORRIERE DELLA SERA.IT”
ELZEVIRO

La lingua comune e i suoi dialetti
L’idioma dei 150 anni dell’Unità

L’altro giorno al Quirinale, in presenza del Presidente Napolitano e nei 150 anni dell’Unità d’Italia, si è svolta una densa e seria sessione di lezioni storiche e statistiche sulla lingua italiana, la sua continuità storica, il suo utilizzo di minoranza attraverso censure e fratture per sei o sette secoli. Sicché la Divina Commedia è ancora leggibile e comprensibile oggidì, le demoralizzate Canzoni all’Italia di Petrarca e Leopardi paiono contemporanee fra loro e con l’attualità, e tuttavia la nostra bellissima lingua scritta venne sempre adoperata da una minima percentuale di parlanti. Altro che quotidianità, fra Bianchi e Neri, Guelfi e Ghibellini, Capuleti e Montecchi.
La prevalenza dei dialetti locali illustri viene dunque in primo piano. Idiomi pieni di sfumature e sottigliezze, da Carlo Porta a Goldoni al teatro dei De Filippo, però inadatti a razionalizzare un pensiero concettuale teorico, critico. E lo si è imparato fin da bambini. A Voghera, prima della guerra e di ogni omologazione mediatica e televisiva, a scuola e in famiglia si parlava un «italiano medio» abbastanza snodato e sciolto. Carico però, come fra virgolette mentali, di francesismi tradizionali, ereditati da una consuetudine probabilmente ottocentesca di libri e conversazioni in casa. E dunque, d’emblée, tête-à-tête, et patati patata, vol-au-vent, pour tout dire, boutade, boutique....
L’italiano veniva altresì screziato dai diversi dialetti, di città e di campagna: pataflòn, luitòn, plandròn, smorbi, slandra, baloss. E spesso il termine dialettale espressivo veniva italianizzato con un suffisso: pelandrone, bofficione, pastrugnare. Interminabili chiacchiere con Gadda, à ce sujet. Però un suo illustre predecessore, Cletto Arrighi, alto esponente della Scapigliatura e autore di un Dizionario Milanese-Italiano (Manuale Hoepli, 1896), non solo ricerca improbabili equivalenti senesi o empolesi ai termini più ambrosiani, ma addirittura italianizza Cavour in «Cavurre».
Vive lodi si elargirono, in questa tornata, alla riforma giolittiana circa l’obbligatorietà gratuita alla scuola primaria, fucina di insegnamenti grammaticali e sintattici a livelli ovviamente popolari.
Non si menzionò invece la rivolta del Sessantotto contro gli insegnanti e i maestri in genere. Senza contare che la ribellione autoritaria e la parificazione dei voti si svolse in Francia e Germania a livello di discepoli di Adorno e Sartre. Da noi, invece, appiattimenti ed omogeneizzazioni avvennero piuttosto a livello di bocciati, trombati, fuoricorso. Dunque attualmente pare difficile capire e far capire come mai tanti precari di Università scassatissime trovino facilmente lavori e impieghi nel prestigioso Estero.

Alberto Arbasino
24 febbraio 2011
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ALTRI DIALETTI: NOTIZIE, BIBLIOGRAFIA, INFORMAZIONI, NOVITA' ED ALTRO Empty DA "LA REPUBBLICA" DEL 10 SETTEMBRE 2011, PAG. 42

Messaggio  Vittorio E. Polito Dom Set 11, 2011 4:37 pm

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Messaggio  Admin Lun Set 12, 2011 3:07 pm

Leggendo l'ultimo articolo di Repubblica postato dal sempre partecipativo amico e sodale Vittorio Polito, ho letto la parola freschin che, lo so per certo, ha nel Lombardo Veneto una notevole diffusione. Mi è venuto in mente che in barese si dice squagghiatjìedde.
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P.S. Mentre scrivevo squagliatello nel "mio" barese, ho notato con un certo fastidio che stavo pensando, oddio! avrò scritto bene? avrò scritto male, non è che incorrerò nei fulmini di qualche fustigatore che mi rimprovererà aspramente per come ho scritto questa parola in barisienne? Per farmi passare la paura e per uscire dallo spiacevole incubo ho pensato di ciucciarmi una grappa, cosa che ho fatto immediatamente. L'effetto calmante è stato subitaneo oltre che gradevole. Ora posso scrivere come meglio mi aggrada. Ullallà! Hic!
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Messaggio  Vittorio E. Polito Mar Set 13, 2011 2:34 pm

CARO ADMIN, STAI MOLTO ATTENTO A COME SCRIVI IL DIALETTO BARESE, CI SONO CENSORI "ACCADEMICI" CHE "CONTROLLANO" ATTENTAMENTE L’ESATTEZZA - SECONDO LORO - DI COME SI SCRIVE LA NOSTRA PARLATA. COSÌ FACENDO PUOI INCAPPARE NEI LORO FULMINI E TEMPESTE. E POI, SERVE DARE ANCHE I “GIUSTIFICATIVI” LESSICALI E GRAMMATICALI, ALTRIMENTI SI ABBATTERANNO SUI MALCAPITATI LE IRE DI GIOVE E CERTAMENTE NON SARAI PROMOSSO ALLA CLASSE SUPERIORE E RIPETERAI L'ANNO CHISSÀ QUANTE VOLTE!!!
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ALTRI DIALETTI: NOTIZIE, BIBLIOGRAFIA, INFORMAZIONI, NOVITA' ED ALTRO Empty RE: LINGUE CHE RISCHIANO DI SCOMPARIRE

Messaggio  Vittorio E. Polito Mar Set 27, 2011 5:39 am

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Firenze 15 settembre 2011

Lingue che rischiano di scomparire
Come fare per salvarle?

Fiorentino, spezzino, livornese, pisano, lucchese, perugino, ternano, folignate e tanti altri. Come proteggere il vernacolo?
SOS DIALETTI: quali parole o espressioni 'in via d'estinzione' conosci? Dialetto da salvare
Le parole, come gli uomini nascono e muoiono. Il che è in parte naturale, in parte no. È naturale che il progresso, le influenze dei paesi egemoni (le parole inglesi e americane da noi), il crescente multietnicismo, le novità tecnologiche (venti anni fa, il cellulare, internet non esistevano), cambino la lingua che parliamo (che per un comune parlante di non grande cultura assomma si e no a 10.000 parole). L’innaturale è che per bruschi mutamenti i per traumi sociali, i parlanti di una certa lingua siano costretti a perdere le parole più care o a dover capire parole nuove, esotiche e quindi incomprensibili (un enorme problema è costituito oggi per esempio dalle sigle politiche, sindacali, tecnologiche).

La nostra lingua se da una parte si arricchisce di parole nuove, dall'altra si impoverisce, e così succede per le nostre realtà locali. Cosa dire per esempio delle parole e modi di dire dei nostri dialetti o parlate locali? Che cosa ne sarà del fiorentino, del livornese, del pisano, del perugino, del fulignate o dello spoletino? Ormai non sono in tanti a sapere cosa vuol dire incignare, bullette, brincello, bombone. Quanti ‘reperti’ dei nostri dialetti sono a rischio estinzione?


Ultima modifica di Vittorio E. Polito il Mar Set 27, 2011 6:01 am - modificato 1 volta.
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ALTRI DIALETTI: NOTIZIE, BIBLIOGRAFIA, INFORMAZIONI, NOVITA' ED ALTRO Empty RE: LINGUE CHE RISCHIANO DI SCOMPARIRE

Messaggio  Vittorio E. Polito Mar Set 27, 2011 5:56 am

Se il problema della scomparsa delle lingue interessa Firenze, La Spezia, Livorno, Perugia, ecc., ciò sta a significare che la sparizione dei dialetti, ed ancor più delle parlate, ha un destino segnato. Passerà solo del tempo, ma la conclusione, ahimè!, è prevista. Quindi "l'accanimento" per farli restare forzatamente "in vita", o ad accapigliarsi per sostenere come si scrive e si legge, aggiungendo o togliendo consonanti e vocali, tentando di modificare l'alfabeto, pubblicando grammatiche o dizionari, ecc., alla fine sarà stata un'operazione del tutto inutile, e forse anche dispendiosa, in considerazione dei risultati che si potranno ottenere.
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ALTRI DIALETTI: NOTIZIE, BIBLIOGRAFIA, INFORMAZIONI, NOVITA' ED ALTRO Empty MODIFICA DELLE PAROLE

Messaggio  Admin Mer Set 28, 2011 8:24 am

Leggendo le puntuali recensioni di Vittorio Polito sulle varie crisi dei dialetti e sui meccanismi preposti allo svolgimento di queste crisi nei confronti sia delle parlate locali che più in generale del lessico italiano, oltre al concordare con le considerazioni dell’amico Polito, mi viene di pensare ad un fenomeno tipicamente italiano che sta investendo da diversi decenni non già la nostra parlata pugliese, ma più ampiamente il lessico italiano. Uscirò quindi per qualche minuto dall’argomento dialetto barese per parlare di quello che sta succedendo nella normale lingua parlata italiana.
Come si sa le lingue subiscono nel corso degli anni dei fenomeni di obsolescenza di alcune parole e di nascita di altre. Sto parlando del ritmo naturale della vita di una qualsivoglia categoria. Si nasce, si vive e si muore. Il momento in cui questo fenomeno naturale si blocca, come tutti sappiamo, la lingua diviene una lingua morta, come il latino, il greco antico, e così via di seguito.
La cosa che mi sta preoccupando molto è che a questi normali fenomeni concernenti il normale modificarsi nel tempo delle parole del lessico italiano si stia aggiungendo ormai da diversi decenni un vero e proprio assalto alle parole della nostra lingua madre, che stanno subendo quindi una mutazione artificiale del proprio significato, contribuendo così a disorientare e a modificare il modo di pensare di buona parte degli abitanti della nazione italiana. Stiamo cioè assistendo, senza peraltro riuscire a difenderci, a una pericolosissima modifica artificiale e quindi non naturale dei significati di molte parole italiane.
Faccio immediatamente un esempio. Una nobile parola il cui significato è stato fatto a pezzi fino a farlo diventare totalmente negativo è il termine politica. Fino a una trentina di anni fa la parola politica era usata normalmente per quello che normalmente significava e cioè per indicare una particolare attività destinata alla gestione della polis, della città. Ad un certo punto della sua esistenza questa parola ha cominciato ad essere usata in senso assolutamente dispregiativo fino a giungere al pericolosissimo risultato che chiunque, all’oggi, si interessi di politica è quanto meno un bugiardo ed un delinquente. Mi si potrà obiettare che questo è vero e che è quello che appare sotto gli occhi di tutti. Obiezione certamente veritiera, ma vi consiglio di pensare che quelli che hanno contribuito più di ogni altro a modificare il significato di questa parola sono quelli che all’oggi fanno politica. Mi pare una enorme contraddizione. Allora mi vien fatto di pensare che il vero meccanismo nascosto dietro questa mutazione sia il seguente: ormai voi avrete capito che robaccia sia la politica, quindi evitate accuratamente di praticarla, quelli che sono abilitati a praticarla siamo soltanto noi e nessun altro. Tu, normale cittadino, pensa a comportarti bene, chè alla gestione della città (alla gestione della politica) ci pensiamo noi. Un risultato terribile come qualunque persona dotata di buon senso può notare. E di parole mutate artificialmente questa è solo la prima. franz falanga
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